Ancora, anche di fronte all’occasione ghiotta di eleggere il Capo dello Stato, la partitica italiana ha deciso di rinunciare alla Politica. Abbiamo avuto la conferma definitiva, qualora ce ne fosse bisogno, che c’è una evidente balcanizzazione del sistema dei partiti (tranne pochissime eccezioni). Una balcanizzazione, lo abbiamo visto, che non porta alcunché di buono. Francamente non mi interessa guardare dentro l’operato dei leader, ci sono già infiniti analisti di “cucina” politica che ne discutono. Non mi interessa capire chi ha vinto e chi ha perso.
Ciò che mi sembra sempre più chiaro è che il sistema Italia fatica a decidere e, in questo, a mediare i rapporti di forza e gli interessi di parte. E’ un sistema bloccato, non da oggi, perché il Bel Paese non ha mai investito davvero sulla propria “auto-determinazione sistemica e strategica”. C’è stato un tempo in cui vi erano classi dirigenti che, fino alla implosione di inizio anni ’90, avevano visioni strategiche, sapevano che la separazione tra politica interna e politica estera era una pericolosa convinzione da dilettanti e che la sovranità contava se c’era una forza interna di elaborazione e di decisione politica.
Poi, d’un tratto, la visione strategica è sfumata. Mentre il mondo cambiava radicalmente, e continua a farlo, i poteri statuali cedevano il passo ad altri poteri e il vecchio ordine bi-polare andava definitivamente in frantumi. La partitica italiana (e non solo) si è radicalizzata, ha cercato di riprendere in mano la sovranità del sistema Paese declinandola come sovranismo e, soprattutto, ha lasciato le porte spalancate a interferenze esterne di vario tipo e di varia intensità e pericolosità. Al centro, naturalmente, c’è, ancora oggi, la grande partita di classi dirigenti senza leadership, senza capacità propulsiva, senza talento di ri-congiunzione tra sviluppo nazionale e opportunità/rischi esterni.
Intorno alla parola “confini” si è giocata, e si gioca, molta della mediocrità dominante: essi vengono aperti o chiusi a seconda di piccole convenienze momentanee. Così come entrano barchini o barconi colmi di disperati alla ricerca di buona vita, molto spesso strumentalizzati da criminali senza scrupoli, altrettanto entrano i veri padroni del mondo per scompigliare il mercato interno o per finanziare gruppi sociali vari e assortiti.
La pandemia, poi, ha fatto la sua parte e, con essa, la sempre più chiara interrelazione delle sfide planetarie. A farne le spese, non solo in Italia, è la democrazia che conosciamo e che amiamo solo quando mostra di funzionare e non anche, e soprattutto, quando evidenzia i suoi limiti. Ci stiamo ritrovati cittadini inermi tra istituzioni impreparate, scienziati in cerca di una ribalta, disuguaglianze crescenti. La società si è divisa e a soffiare sul fuoco sono anche una malainformazione e una disinformazione che ci invadono in una sorta di “brain grabbing”.
Accanto alla sovranità, l’Italia deve ri-pensare la propria sicurezza. Essa è minacciata da tanti fattori, facenti parte di un mosaico inestricabile, ma non può più essere intesa in senso lineare. La sicurezza, infatti, non si lega solo all’ordine sociale ma, prima di tutto, alla coesione della società stessa. Nel nostro Paese la democrazia elettorale, non praticata ormai da troppi anni e talvolta con ragioni assai risibili, è il primo specchio della mancanza di coesione sociale: il più grande partito italiano è quello degli astensionisti.
Per concludere. In una fase come questa, i rappresentanti del popolo che hanno eletto Mattarella rischiano, in una prospettiva di breve termine, di rappresentare a mala pena loro stessi. C’è da festeggiare ? L’Italia può ri-trovarsi solo intorno a un vero pensiero strategico che, immerso nelle sfide “carne e sangue” del tempo che viviamo, lavori per la decisione: il resto è teatro, anche farsesco.