Hollywood, mercato dell’auto e chissà cosa d’altro in futuro. Nel tempo della policrisi, urge lavorare sulla sostenibilità sistemica attraverso il pensiero complesso.
Non riusciamo, ancora prigionieri di una linearità molto novecentesca, a uscire dal doppio auto-inganno del pro (a tutti i costi) e del contro (a tutti i costi) nell’approccio all’innovazione. Una delle sfide è lì, particolarmente legata all’evoluzione del mondo del lavoro (le cronache di queste settimane, dagli USA, ci parlano): tema che si lega, inevitabilmente, alla resilienza sociale e democratica.
L’innovazione tecnologica, fenomeno inarrestabile, non chiede permesso ed entra nelle nostre vite come un fiume in piena: travolge e determina, come ogni grande trasformazione che sia tale.
Se cominciassimo a diventare tecno-realisti capiremmo che il problema è tutto politico o, meglio, di visione politica dentro il futuro già presente. La grande trasformazione nella quale siamo immersi chiede di immaginare scenari alternativi: non abbiamo bisogno di visioni apocalittiche, del tutto a-realistiche e capaci solo di generare ansia diffusa, ma di nuovi dialoghi per nuove relazioni industriali. Il futuro del lavoro nel tempo dell’innovazione ‘disruptive’ è, lo ribadiamo ancora, tema e problema politico, sociale, democratico: lo viviamo, giustamente, come sfida economica e anche geopolitica (la transizione verso l’energia pulita e la ricerca e produzione d’intelligenza artificiale comportano spostamenti dei rapporti di potere a livello internazionale) ma il tema è ben più ampio. E complesso.
Il quadro d’insieme che ci troviamo ad analizzare non può essere oggetto di semplificazione. Oggi più che mai, infatti, abbiamo la possibilità di accogliere in una visione olistica le opportunità e i rischi che l’innovazione ci consegna. Occorre stare attenti e dialogare nel profondo, politicamente: tutto questo non è accidente della storia ma vero e proprio cambio-di-era
(English version)
Hollywood, automotive and who knows what else in the future. In the time of polycrisis, there is an urgent need to work on systemic sustainability through complex thinking.
We are unable, still prisoners of a twentieth-century linearity, to break out of the double self-deception of pro (at all costs) and against (at all costs) in our approach to innovation. One of the challenges is there, particularly linked to the evolution of the world of work (the news of these weeks, from the USA, speaks to us): a theme that is inevitably linked to social and democratic resilience.
Technological innovation, an unstoppable phenomenon, does not ask permission and enters our lives like a river in flood: it overwhelms and determines, like any great transformation.
If we began to become techno-realists, we would understand that the problem is entirely political, or rather, of political vision within the future that is already present. The great transformation in which we are immersed demands that we imagine alternative scenarios: we do not need apocalyptic visions, which are completely a-realistic and only capable of generating widespread anxiety, but new dialogues for new industrial relations. The future of work in the time of ‘disruptive’ innovation is, we repeat, a political, social and democratic issue and problem: we experience it, quite rightly, as an economic and even geopolitical challenge (the transition to clean energy and artificial intelligence research and production entail shifts in power relations at the international level), but the issue is much broader. And complex.
The overall reality we are analysing cannot be simplified. Today more than ever, we have the opportunity to take a holistic view of the opportunities and risks that innovation brings us. We need to be careful and to dialogue in depth, politically: this is not an accident of history but a real change-of-era