Il simbolo e il rischio (di Marco Emanuele)

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Ebbene si, dopo vent’anni l’11 settembre 2001 (che abbiamo elevato a simbolo che traccia una nuova era) ancora ci parla.

Guardiamo a quella data con il timore che si deve a un accadimento che ci ha lasciato basiti, senza parole: quel giorno, infatti, tutti abbiamo pensato: com’è possibile che si possa attaccare il cuore dell’America, il Paese più potente e (pensavamo) più sicuro del mondo ? Eppure è stato possibile.

Vogliamo guardare all’11 settembre dal punto di vista della metamorfosi del rischio, iniziando da queste pagine un percorso di riflessione e di ricerca sul rischio che viviamo e su come lo affrontiamo. Ci rendiamo conto che si tratta di un tema enorme, dalle infinite sfaccettature ma, a ben guardare, è il tema-dei-temi per chi intenda ri-trovare percorsi di giudizio storico nella realtà, di comprensione e di com-prensione di ciò che accade.

Da allora il mondo si è pericolosamente incendiato. In questi giorni si leggono numerose analisi sul tema della war on terror, infinita anche  perché il terrore ha incarnato la metamorfosi del rischio. Tutto si è digitalizzato o si sta digitalizzando. Da dove vengono i rischi ? Qui c’è il problema. Ecco alcuni punti che vorremmo sviluppare:

  • il rischio si è fatto imprevedibile, impalpabile, asimmetrico. E proviene da parti di mondo che non eravamo abituati a conoscere. Oggi il rischio è dallo spazio alla Terra e ritorno, il cyber è diventato la parola d’ordine: la difesa e la sicurezza si riconfigurano e riguardano le attività militari tanto quanto l’assetto delle nostre città;
  • le crisi si sono intrecciate e potremmo parlare di una complessità delle crisi. Non è più possibile, infatti, affrontare una crisi per volta, separata dal resto: il climate change, le migrazioni di massa, la debolezza democratica e della politica (qui intesa nel senso di pensare/agire), le disuguaglianze, e così via, sono parti inseparabili di un unico mosaico planetario, avvolti come siamo in quello che Edgar Morin chiama destino planetario;
  • il dove acquista sempre più importanza e, con esso, il pensiero geografico. Questo fa il paio con l’innovazione tecnologica, con tecnologie emergenti che guardano al dove dell’umano come luogo di elezione: the science of where;
  • il pensiero geografico non basta se non si abbina con il pensiero critico e con il pensiero complesso. Questa è l’era in cui il pensiero lineare mostra tutti i suoi limiti strutturali, così come l’approccio causale che non tiene conto delle imprevedibilità che governano i processi storici e le nostre stesse vite.

Tutto questo si accompagna con l’informazione geostrategica che, ogni giorno, pubblichiamo su The Science of Where; lì cerchiamo, sempre con pensiero complesso, di mostrare lo stretto legame tra l’innovazione tecnologica e l’evoluzione delle relazioni internazionali nei mondi-che-evolvono, il nostro “dove”.

 

 

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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