Ebbene si, dopo vent’anni l’11 settembre 2001 (che abbiamo elevato a simbolo che traccia una nuova era) ancora ci parla.
Guardiamo a quella data con il timore che si deve a un accadimento che ci ha lasciato basiti, senza parole: quel giorno, infatti, tutti abbiamo pensato: com’è possibile che si possa attaccare il cuore dell’America, il Paese più potente e (pensavamo) più sicuro del mondo ? Eppure è stato possibile.
Vogliamo guardare all’11 settembre dal punto di vista della metamorfosi del rischio, iniziando da queste pagine un percorso di riflessione e di ricerca sul rischio che viviamo e su come lo affrontiamo. Ci rendiamo conto che si tratta di un tema enorme, dalle infinite sfaccettature ma, a ben guardare, è il tema-dei-temi per chi intenda ri-trovare percorsi di giudizio storico nella realtà, di comprensione e di com-prensione di ciò che accade.
Da allora il mondo si è pericolosamente incendiato. In questi giorni si leggono numerose analisi sul tema della war on terror, infinita anche perché il terrore ha incarnato la metamorfosi del rischio. Tutto si è digitalizzato o si sta digitalizzando. Da dove vengono i rischi ? Qui c’è il problema. Ecco alcuni punti che vorremmo sviluppare:
- il rischio si è fatto imprevedibile, impalpabile, asimmetrico. E proviene da parti di mondo che non eravamo abituati a conoscere. Oggi il rischio è dallo spazio alla Terra e ritorno, il cyber è diventato la parola d’ordine: la difesa e la sicurezza si riconfigurano e riguardano le attività militari tanto quanto l’assetto delle nostre città;
- le crisi si sono intrecciate e potremmo parlare di una complessità delle crisi. Non è più possibile, infatti, affrontare una crisi per volta, separata dal resto: il climate change, le migrazioni di massa, la debolezza democratica e della politica (qui intesa nel senso di pensare/agire), le disuguaglianze, e così via, sono parti inseparabili di un unico mosaico planetario, avvolti come siamo in quello che Edgar Morin chiama destino planetario;
- il dove acquista sempre più importanza e, con esso, il pensiero geografico. Questo fa il paio con l’innovazione tecnologica, con tecnologie emergenti che guardano al dove dell’umano come luogo di elezione: the science of where;
- il pensiero geografico non basta se non si abbina con il pensiero critico e con il pensiero complesso. Questa è l’era in cui il pensiero lineare mostra tutti i suoi limiti strutturali, così come l’approccio causale che non tiene conto delle imprevedibilità che governano i processi storici e le nostre stesse vite.
Tutto questo si accompagna con l’informazione geostrategica che, ogni giorno, pubblichiamo su The Science of Where; lì cerchiamo, sempre con pensiero complesso, di mostrare lo stretto legame tra l’innovazione tecnologica e l’evoluzione delle relazioni internazionali nei mondi-che-evolvono, il nostro “dove”.