(Marco Emanuele)
Il mondo-arena è quello che continuamente ri-creiamo. Il proliferare della violenza ‘banale’ sembra sovrastarci, come il fuoco degli attentati e delle guerre.
Se il male ci appartiene, sembriamo non capire che stiamo mettendo in serio pericolo la ‘sostenibilità sistemica’ del mondo e dei mondi. Così come non bastano più gli appelli morali, da qualunque ‘autorità’ provengano, altrettanto non basta più dirsi democratici.
Se si vuole salvare la democrazia, l’unico regime istituzionale che può garantire libertà e diritti, occorre avviare seri (e profondi) percorsi di auto-critica. Cresce (non da oggi), nelle democrazie, il disagio di coloro che sentono una reale distanza tra i grandi passi in avanti della Storia e le piccole storie nazionali, statuali, sempre più rallentate dalla radicalizzazione burocratica e dall’insistenza identitaria.
Il fuoco non si arresta ed è un incendio trasversale, che tocca tutti. Inutile cercare le eccezioni perché, nella trasformazione in essere, serve trasformazione democratica. Dal senso di cittadinanza alla qualità delle classi dirigenti, il tema non è solo spegnere il fuoco del presente ma creare le condizioni perché esso non si riaccenda in proporzioni ancora più preoccupanti. Ma la miopia strategica, altrimenti definibile come assenza di mediazione e di visione, impera.
Rispetto a tutto ciò che sta trasformando il nostro vivere, rivoluzione tecnologica in testa, occorre recuperare senso di responsabilità e fiducia. E occorre farlo con un ‘nuovo’ realismo, non più lasciandoci cullare da vecchi paradigmi che appartengono al passato. Parole come pace, libertà, sviluppo, equità, sicurezza vanno ri-pensate alla luce di dinamiche che nulla hanno a che vedere con il ‘900 che il tempo ha lasciato alle nostre spalle. Forse, e il fuoco è lì a dimostrarcelo, non siamo ancora pronti per affrontare la complessità delle grandi sfide del terzo millennio.
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