Il necessario realismo per gestire la transizione ecologica – The necessary realism to manage the ecological transition

Tra le proteste, si è chiuso a New York il Climate Ambition Summit delle Nazioni Unite. Verso la COP28, serve un approccio complesso (al contempo, di prospettiva valoriale e pragmatico) per garantire la cura necessaria al futuro dell’umanità e del pianeta

Amidst protests, the UN Climate Ambition Summit closed in New York. Towards COP28, a complex approach is needed (at the same time, of a values-based perspective and pragmatic) to ensure the necessary care for the future of humanity and the planet 

(Marco Emanuele)

 

Mentre gruppi di persone in giro per il mondo stanno portando i governi in tribunale per le conseguenze legate ai cambiamenti climatici, e altri protestano per le strade delle nostre città, a New York si è concluso il Climate Ambition Summit delle Nazioni Unite.

La transizione ecologica, per raggiungere gli obiettivi del Global Stocktake dell’Accordo di Parigi, chiede passi sostanziali, l’accelerazione di cui ha parlato il Segretario Generale dell’ONU.

Il tema è complesso perché riguarda la sostenibilità sistemica del mondo e dei mondi. Mentre nei dibattiti si scontrano posizioni antagoniste, tutte dogmatizzanti un punto di vista ed esaltanti mano a mano i ‘propri’ scienziati di riferimento, forse è giunto il tempo di un approccio diverso.

La COP28 di Dubai dovrà dare segnali chiari, almeno lo speriamo. D’altro canto, sono le strategie di adattamento climatico a fare la differenza nel quadro di un impegno globale finalmente ben definito. Tante dinamiche sono compresenti.

Guardata ‘dal basso’, la transizione ecologica va de-dogmatizzata e tolta dalla contrapposizione tra forze politiche che si interessano in particolare al consenso immediato e non primariamente alle necessità della ‘casa comune’ che è il pianeta. Dialoghi sostanziali dovrebbero riguardare la modalità delle transizione: con realismo, crediamo che sia giusto evitare lo scontro tra posizione ideologiche (in senso deteriore). Le mediazioni tra la salvaguardia dell’ambiente e le ragioni delle attività economiche sono fondamentali. Mentre molte aziende a livello internazionale stanno condividendo l’inevitabilità di un approccio più sostenibile, anche generatore di nuove opportunità economiche ed occupazionali, occorre evitare di dividersi sul piano delle mediazioni. Se gli impatti dei cambiamenti climatici sono globali, le risposte devono calarsi in ogni contesto nazionale: questa è un disequilibrio oggettivo ma è anche una opportunità per costruire un mosaico di soluzioni ‘nature-based’ che aiutino a raggiungere gli obiettivi del Global Stocktake.

C’è un altro tema, fra i tanti che si potrebbero introdurre, che crediamo sia decisivo: è quello della ‘giustizia climatica’. Il tempo che viviamo, con un ‘Sud globale’ che sempre di più partecipa alla ricomposizione dei rapporti di forza a livello globale, ci mostra un disequilibrio non più sostenibile tra i Paesi a basso reddito (poco responsabili delle emissioni ma più colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici) e i Paesi maggiormente responsabili. Non sfuggirà, a chi voglia ragionare di questi temi con onestà intellettuale, che tale disequilibrio genera de-generazione negli equilibri intra-statuali, inter-statuali e internazionali. Si tratta di un disequilibrio che genera crescenti difficoltà alle popolazioni più povere e disagiate, che incide sui fenomeni migratori e che colpisce anche la resilienza dei sistemi politico-istituzionali.

Come si vede, siamo dentro una questione che chiede uno sguardo complesso. Gli ineliminabili interessi settoriali, e nazionali, sono da tenere in conto ma mai sacrificando il tema più grande: la cura strategica che va garantita al futuro dell’umanità e del pianeta.

(English version)

While groups of people around the world are taking governments to court over the consequences of climate change, and others are protesting in the streets of our cities, the UN Climate Ambition Summit concluded in New York.

The ecological transition, to achieve the goals of the Paris Agreement’s Global Stocktake, calls for substantial steps, the acceleration the UN Secretary General spoke of.

The issue is complex because it concerns the systemic sustainability of the world and worlds. While antagonistic positions clash in the debates, all dogmatising one point of view and exalting ‘their’ scientists, perhaps the time has come for a different approach.

COP28 in Dubai will have to give clear signals, at least we hope so. On the other hand, it is climate adaptation strategies that will make the difference in the context of a finally well-defined global commitment. So many dynamics are co-present.

Viewed ‘from below’, the ecological transition must be de-dogmatised and removed from the opposition between political forces that are primarily concerned with immediate consensus and not primarily with the needs of the ‘common home’ that is the planet. Substantial dialogues should concern the mode of transition: realistically, we believe it is right to avoid the clash of ideological positions (in the deterrent sense). Mediations between the protection of the environment and the reasons for economic activities are crucial. While many companies at the international level are sharing the inevitability of a more sustainable approach, also generating new economic and employment opportunities, we need to avoid dividing on the level of mediations. If the impacts of climate change are global, the responses must fall into each national context: this is an objective imbalance, but it is also an opportunity to build a mosaic of ‘nature-based’ solutions that will help achieve the goals of the Global Stocktake.

There is another theme, among many that could be introduced, that we believe is decisive: it is that of ‘climate justice’. The times we live in, with a ‘global South’ that increasingly participates in the recomposition of power relations on a global level, show us an imbalance that is no longer sustainable between low-income countries (little responsible for emissions but more affected by the effects of climate change) and countries that are more responsible. It will not escape anyone who wants to reason about these issues with intellectual honesty that this imbalance generates de-generation in intra-state, inter-state and international balances. It is an imbalance that generates increasing difficulties for the poorest and most deprived populations, that affects migratory phenomena and that also affects the resilience of political-institutional systems.

As we can see, we are inside an issue that calls for a complex approach. Ineliminable sectorial, and national, interests must be taken into account, but never by sacrificing the larger issue: the strategic care that must be ensured for the future of humanity and the planet.

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