Mentre siamo in un tempo che definiamo “cambio di era”, nel quale i rapporti di potere si ricompongono in maniera sempre più veloce e radicale, guardare allo sviluppo umano integrale aiuta a non smarrire l’unica prospettiva possibile che è la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi.
Al centro di un “pensiero agente” dobbiamo porre la relazione. Il mondo esasperatamente competitivo e diviso ha bisogno di ri-trovare (trovare continuamente) il senso di ciò che può ri-congiungere ciò che è disperso: il destino planetario di ogni uomo in ogni altro, nell’umanità e nella realtà.
Oggi, al centro, vi è una discussione viziosa sui rapporti di potere che, pur se importanti e decisivi, rappresentano il bisogno dei grandi player di guadagnarsi (o riguadagnarsi) un posto d’onore sul podio della storia. Ma non centrare una riflessione politico-strategica sulla sostenibilità complessiva e complessa potrebbe rivelarsi un errore fatale.
Ciò che ci interessa, in termini di bussola geostrategica e guardando alla evoluzione/involuzione dei rapporti di potere, è il cammino laterale, periferico, nelle rotte che la geopolitica classica non percorre. Lì, infatti, sta la vera complessità. La vera miopia è nel non comprendere il “cosa diventa” il mondo.
Complessità insegna che il mosaico-mondo, soprattutto dopo decenni di linearità imperante, si sostiene solo attraverso un pensiero a-centrico e una immaginazione geostrategica fondata sulla relazione. Il mosaico non è sommatoria di tanti elementi e, allo stesso modo, al centro non vi è una parte o l’altra ma la relazione tra di esse: relazione difficile ma da costruire con pazienza dialogante se vogliamo che il futuro già presente generi convivenza e non persista nell’errore (diabolico) della separazione tra parti sommate.
La lezione del “cambio di era” è di guardare al destino comune di uno sviluppo davvero condiviso. Anche se il quadro generale appare disarmante, la responsabilità verso la storia ci impone di aprire nuove prospettive. Il mondo non è solo evidenza di rapporti di potere in competizione, con i quali bisogna confrontarsi in termini di mediazione; il mondo è soprattutto mistero, nelle grandi potenzialità ancora inespresse (si pensi all’Africa), nelle periferie che soffrono e che ci mostrano una umanità in pericolo che ci appartiene.
(English version)
While we are in a time that we call a ‘change of era’, in which power relations are being recomposed ever more quickly and radically, looking at integral human development helps us not to lose sight of the only possible perspective, which is the political-strategic sustainability of the world and worlds.
At the centre of ‘agent thinking’ we must place relationship. The exasperatingly competitive and divided world needs to re-find (continually find) the sense of what can re-unite what is dispersed: the planetary destiny of every man in every other, in humanity and in reality.
Today, at the centre, there is a vicious discussion on power relations that, although important and decisive, represent the need of the big players to earn (or regain) a place of honour on the podium of history. But not focusing a political-strategic reflection on the overall and complex sustainability could prove to be a fatal mistake.
What interests us, in terms of a geostrategic compass and looking at the evolution/involution of power relations, is the lateral, peripheral path, in the routes that classical geopolitics does not follow. Therein, in fact, lies the real complexity. The real short-sightedness is in not understanding ‘what the world becomes’.
Complexity teaches that the mosaic-world, especially after decades of prevailing linearity, only sustains itself through a-centric thinking and a geostrategic imagination based on relationships. The mosaic is not the summation of many elements and, similarly, at the centre is not one part or the other but the relationship between them: a relationship that is difficult but must be built with dialogic patience if we want the future already present to generate coexistence and not persist in the (diabolical) error of separating the summed parts.
The lesson of the ‘change of era’ is to look towards the common destiny of a truly shared development. Even if the overall picture appears disarming, responsibility to history requires us to open up new perspectives. The world is not only evidence of competing power relations, with which we have to deal in terms of mediation; the world is above all mystery, in the great as yet unexpressed potential (think of Africa), in the peripheries that suffer and show us a humanity in danger that belongs to us.