Una ricerca che voglia occuparsi della condizione planetaria nel terzo millennio non può che farlo dal punto di vista della complessità. Il mondo è ferito profondamente e tale consapevolezza deve diventare (altrettanto profondamente) politico-strategica.
Le ferite che osserviamo sono trasversali e non distinguono più i contesti. Riguardano i Paesi più poveri, le democrazie liberali (le polarizzazioni e le separazioni sono sempre più evidenti) e la crescente presenza di “segni totalitari” nel mondo che evolve-involve.
Questo quadro generale va calato nelle singole realtà, ciascuna diversa dalle altre, ma definisce un circolo vizioso che si sta pericolosamente consolidando. Prima di tutto, va detto chiaramente, il cortocircuito riguarda il pensiero: l’illusione da “fine della storia” non ci ha preparati alla grande lezione, diventata valanga spesso incontrollabile, delle storie che ritornano.
Oggi, immersi in un “cambio di era”, ci ritroviamo ancora utilizzatori di armamentari concettuali novecenteschi. Cerchiamo insistentemente un “centro” e fatichiamo, soprattutto in ragione di reciproci interessi ma anche per incosistenza visionaria, a non riconoscere l’impraticabilità dell’idea di “ordine globale” se non attraverso la guerra (qui intesa non solo come guerra guerreggiata ma anche come competizione esasperata e scontro tra posizioni sempre più radicalizzate).
Avremmo bisogno, come tante volte evocato da Papa Francesco, di un “pensiero nelle periferie esistenziali”. Questa espressione, dal punto di vista politico-strategico, è da interpretare in prospettiva di visione storica. Si tratta, da un lato, di leggere le dinamiche storiche con lo sguardo di chi non ce la fa; dall’altro lato, si tratta anche di ri-scoprire (scoprire continuamente) le cause e le conseguenze di scelte politiche sbagliate che ci hanno consegnato, e continuano a consegnarci, un mondo e mondi percorsi da inaccettabili disuguaglianze. Le periferie esistenziali, in sostanza, ci servono come specchio dei nostri errori tattici e strategici.
Nelle periferie esistenziali vivono le ferite del mondo. C’è molto lavoro da fare, soprattutto da parte di noi intellettuali, per un pensiero dinamico (critico e complesso) di “giudizio storico”: occorre lavorare per un “pensiero agente e trasformante”, urgente per cambiare via.
(English version)
A research that wants to deal with the planetary condition in the third millennium can only do so from the perspective of complexity. The world is deeply wounded and this awareness must become (equally deeply) political-strategic.
The wounds we observe are transversal and no longer distinguish between contexts. They concern the poorest countries, liberal democracies (polarisations and separations are increasingly evident) and the growing presence of ‘totalitarian signs’ in the evolving-involving world.
This general framework has to be put down to individual realities, each one different from the others, but it defines a vicious circle that is becoming dangerously consolidated. First of all, it must be clearly stated, the short-circuit concerns thought: the ‘end of history’ illusion has not prepared us for the great lesson, which has become an often uncontrollable avalanche, of stories that return.
Today, immersed in a ‘change of era’, we find ourselves still using 20th-century conceptual paraphernalia. We insistently search for a ‘centre’ and we struggle, mainly due to mutual interests but also due to visionary inconsistency, not to recognise the impracticability of the idea of a ‘global order’ if not through war (here understood not only as a waged war but also as exasperated competition and clashes between increasingly radicalised positions).
We would need, as Pope Francis so often evoked, ‘thinking in the existential peripheries’. This expression, from a political-strategic point of view, is to be interpreted from the perspective of historical vision. On the one hand, it is a matter of reading historical dynamics with the gaze of the poorest and most deprived; on the other hand, it is also a matter of re-discovering (continually discovering) the causes and consequences of mistaken political choices that have handed us, and continue to hand us, a world and worlds traversed by unacceptable inequalities. The existential peripheries, in essence, serve us as a mirror of our tactical and strategic errors.
In the existential peripheries live the wounds of the world. There is a lot of work to be done, especially by us intellectuals, for a dynamic (critical and complex) thought of ‘historical judgement’: we need to work for an ‘acting and transforming thought’, urgent to change the way.