(Marco Emanuele)
Il fuoco che attraversa il mondo è trasversale e profondo. Occorre recuperare la complessità del ‘respiro storico’, re-istituendo l’idea di stabilità.
L’azione pragmatica, da quella climatica ai tentativi di ricerca della pace, deve considerare l’unica dimensione dei processi storici, dall’alto e nel profondo. Si tratta di una dimensione indivisibile, inseparabile. E’ solamente in tale unità che possiamo avvertire il respiro della Storia, ascoltarne il ‘sentimento’.
L’insistenza sulla stabilità, quasi a volerci convincere che perseguirla a tutti i costi e in maniera lineare sia l’unico modo per salvare la certezza-di-noi, ci porta a dover consolidare il ‘costituito’. Siamo perennemente in difesa da fenomeni esterni, auto-ingannandoci – per necessità di radicalizzazione – che occorra alzare sempre più il livello della nostra immunizzazione.
Siamo ancora nel pieno di un pensiero che rifiuta la complessità del reale. Perché è proprio che ci fa paura, che ci mostra le sue potenza e durezza facendoci apparire per ciò che siamo: naviganti nell’incertezza.
Dentro un pensiero escludente, facciamo finta che il fuoco che attraversa il mondo sia ancora lontano e che ci si possa ancora dividere tra ricchi e poveri, tra sviluppati e in via di sviluppo, tra democrazie e autocrazie. Come se il respiro-sentimento della Storia riguardasse solo alcuni e non tutti e come se bastasse la stabilità cieca, tante volte voluta da una realpolitik altrettanto incapace di guardare nella realtà. Una politica che non respira la Storia rappresenta, drammaticamente, la negazione di se stessa e un rischio esistenziale per ciascuno di noi.
(English version)
The fire that runs through the world is transversal and profound. It is necessary to recover the complexity of the ‘historical breath’, re-instituting the idea of stability.
Pragmatic action, from climate action to attempts to seek peace, must consider the unique dimension of historical processes, from above and in depth. It is an indivisible, inseparable dimension. It is only in this unity that we can feel the breath of History, listen to its ‘feeling’.
The insistence on stability, as if to convince us that pursuing it at all costs and in a linear manner is the only way to save our certainty-to-be, leads us to have to consolidate the ‘constituted’. We are perpetually in defense from external phenomena, deceiving ourselves – due to the need for radicalization – that we need to increasingly raise the level of our immunization.
We are still in the midst of a thought that rejects the complexity of reality. Because it is precisely what scares us, which shows us its power and harshness by making us appear for what we are: navigating uncertainty.
Within an exclusionary thought, we pretend that the fire that crosses the world is still far away and that we can still be divided between rich and poor, between developed and developing, between democracies and autocracies. As if the breath-feeling of History concerned only some and not all and as if blind stability was enough, so often desired by a realpolitik equally incapable of looking in reality. A politics that does not breath history represents, dramatically, the denial of itself and an existential risk for each of us.
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