Nel mondo ferito, s’impongono nuove visioni politico-strategiche. Una delle ragioni che hanno portato a un mondo disuguale, pur negli effetti positivi di questa fase della globalizzazione, è il mancato governo politico delle “società aperte”.
I benefici delle società aperte non sono automatici. Negli ultimi tre decenni, sull’onda dell’illusione da “fine della storia”, non abbiamo maturato visioni complesse e abbiamo immaginato che bastasse aprirsi al mondo per godere dei benefici della libertà, della democrazia, dello sviluppo: oggi possiamo dire che non è andata così.
Si è progressivamente alzato il livello di rischio, è cresciuto il bisogno di immunizzazione e di sicurezza, sono aumentati il sospetto e la paura e le società si sono sempre più radicalizzate in identità piuttosto vissute come “tentazioni identitarie”. Il mancato governo politico delle “società aperte”, anche con l’affermarsi di player globali come la Cina e nella ricomposizione (in atto) dei rapporti di potere, ha messo in crisi de-generativa le democrazie liberali, sempre più deboli, sempre meno in grado di garantire benessere e sicurezza e che vivono dentro Stati sempre più burocratici.
Il punto di questa riflessione è nel rapporto sinergico e strategico tra ogni dimensione locale e la dimensione planetaria. Dalla fine dell’equilibrio bipolare a oggi si è politicamente trascurato il necessario accompagnamento di ogni popolo alla globalità e non si è lavorato su regole adeguate per il governo del “nuovo” mondo globalizzato. Se non vi è dubbio che si viva meglio in società democratiche anziché in quelle rette da regimi autocratici, le ferite che vediamo in tante società si sono aggravate nell’assenza di realismo con cui, in molti casi, si è voluto imporre, con modalità hard o più soft e in maniera lineare e semplicistica, l’ “armamentario” democratico o altre ricette di benessere e di sviluppo. In tal modo, tale approccio è diventato un pericolo, soprattutto per chi lo ha subito ma anche per chi lo ha provocato (il boomerang è tornato, come le storie, carico di rischi ben difficilmente governabili). Il tutto è aggravato, negli ultimi anni, dalla pandemia, dalla guerra nel cuore d’Europa e da un fragile equilibrio in una globalizzazione senza pensiero globale e percorsa da una megacrisi de-generativa sempre più evidente.
(English version)
In the wounded world, new political-strategic visions are required. One of the reasons that has led to an unequal world, despite the positive effects of this phase of globalisation, is the lack of political government of ‘open societies’.
The benefits of open societies are not automatic. In the last three decades, on the wave of the ‘end of history’ illusion, we did not develop complex visions and we imagined that it was enough to open up to the world to enjoy the benefits of freedom, democracy, and development: today we can say that this has not been the case.
The level of risk has progressively risen, the need for immunisation and security has grown, suspicion and fear have increased, and societies have become increasingly radicalised into identities rather experienced as ‘identity temptations’. The lack of political government of ‘open societies’, even with the emergence of global players such as China and the (ongoing) recomposition of power relations, has placed liberal democracies in a de-generative crisis, as they are increasingly weak, less and less able to guarantee welfare and security and living within increasingly bureaucratic States.
The point of this reflection is in the synergetic and strategic relationship between each local dimension and the planetary dimension. From the end of the bipolar equilibrium to today, the necessary accompaniment of each people to globality has been politically neglected and adequate rules for governing the ‘new’ globalised world have not been worked on. While there is no doubt that we live better in democratic societies than in those governed by autocratic regimes, the wounds we see in so many societies have been aggravated by the lack of realism with which, in many cases, the democratic ‘paraphernalia’ or other recipes for prosperity and development have been imposed in a hard or softer manner and in a linear and simplistic way. In doing so, this approach has become a danger, especially for those who have suffered it, but also for those who have provoked it (the boomerang has returned, like the stories, full of risks that are very difficult to govern). All of this is aggravated, in recent years, by the pandemic, the war in the heart of Europe and a fragile balance in a globalisation without global thinking and marked by an increasingly evident de-generational megacrisis.