Si insinua, nel dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina, l’elemento della stanchezza. Tutti parlano di pace, tutti la bramano, tutti la vogliono (?). Chiarito il tema aggressore (Putin e il suo gruppo di potere) – aggredito (il popolo ucraino) e chiarito che la resistenza va aiutata anche con l’invio di armi (il problema, per me, non è se farlo ma fino a quando), direi che è venuto il tempo della diplomazia.
I sermoni laici che ascoltiamo quotidianamente (fortunatamente, le espressioni di Francesco si distinguono) entrano nelle ed escono dalle orecchie di ascoltatori colpiti dall’altra guerra, quella economica (peraltro già scatenata prima del 24 febbraio): è bene, oggi, che i governi del Vecchio Continente – oltre a lavorare diplomaticamente e concretamente (e riservatamente) a favore della pace – si impegnino a favore delle classi più deboli e impostino, in un consenso europeo necessario, politiche post-conseguenze belliche.
L’Europa, lo sappiamo, paga il prezzo delle sue divisioni interne e della mancata mediazione politica tra posizioni diverse. Domina il compromesso. Eppure, come molti notano, è proprio l’Europa che sarà più colpita da ciò che sta accadendo alle sue porte. Qui c’è la differenza fondamentale tra noi e gli americani: il costo della guerra, delle sanzioni e della ricostruzione dell’Ucraina.
Ma, come qualcuno mi ha detto, non è il tempo di dividere il fronte occidentale. L’importante, secondo me, è che sia chiara la prospettiva: l’interesse condiviso deve riguardare lo stop alla guerra. Siamo tutti allineati ?
Una breve considerazione finale riguarda la guerra-nella-guerra perché, per noi che non combattiamo e che non vogliamo morire per Kiev (e neppure per Washington D.C.), l’insostenibilità della situazione sociale è ormai evidente. Già colpiti dalle disuguaglianze prima della pandemia, poi bloccati a causa del virus (invisibile quanto pericoloso) e, infine, caduti dentro una guerra assurda quanto tragica (parte di un “male banale” che ritorna), ci ritroviamo stanchi. Ed è proprio da qui che possiamo e dobbiamo ri-partire: e abbiamo la responsabilità di ri-costruire un “progetto di civiltà”, prendere l’iniziativa di ri-pensare il mondo attraverso paradigmi culturali e operativi diversi rispetto a quelli utilizzati fino a ora. E non possiamo aspettare che finisca questa guerra perché, se guardiamo il mondo realisticamente (e non solo attraverso i nostri occhiali), altre guerre (variamente combattute) sono già in corso o pronte a scoppiare.