Questa riflessione è, nei fatti, un cammino nel “progetto di civiltà”: perché esso vive nella vita, considera le dinamiche che ci percorrono ed è partecipato dai nostri talenti e dalle nostre contraddizioni. Si tratta di una riflessione aperta e tutta da con-dividere.
Maturare giudizio storico significa ri-prendere (prendere continuamente) consapevolezza del mondo che siamo e in cui siamo. In termini di meta-contesto, possiamo dire di trovarci nella Quarta Rivoluzione Industriale. Ciò che è certo è che mai nessuna fase della storia umana si è caratterizzata per tali velocità e radicalità. Scrive Ilaria Bifarini (Il grande reset, Milano, 2021, p. 88): Come ha affermato con toni entusiastici Satya Nadella: “Abbiamo assistito a due anni di trasformazione digitale in due mesi”.
Altresì, sostiene Bifarini, l’economia dei ricchi e dei super ricchi non si ferma, le disuguaglianze (comunque consustanziali ai sistemi di mercato e problema ben presente da alcuni decenni a livello globale) crescono e le grandi ricchezze si concentrano. Nota l’Autrice (op.cit., pp 98-99): Come emerge da un rapporto della banca svizzera Ubs, da aprile a luglio 2020 gli ultra miliardari hanno aumentato il proprio reddito del 27,5%, portando la loro ricchezza a 10,2 trilioni di dollari, superando il precedente picco di 8,9 trilioni di dollari registrato a fine 2017. Anche il numero dei super ricchi è salito, raggiungendo il record di 2.189, rispetto ai 2.158 del 2017. A incrementare ulteriormente i loro patrimoni stellari ha inciso molto la scommessa sulla ripresa dei mercati azionari, che hanno toccato il loro punto più basso durante il lockdown di marzo e aprile per poi rimbalzare, compensando gran parte delle perdite. Come spiega al “The Guardian” Josef Stadler, manager di Ubs, i miliardari sono stati abili a trarre vantaggi dalla crisi: “non solo hanno cavalcato la tempesta al ribasso, ma hanno anche guardagnato sul rialzo”. È interessante, con Bifarini (op.cit., p.101), notare quanto segue sulla concentrazione della ricchezza: Secondo gli esperti della UBS, la concentrazione della ricchezza
oggi è di nuovo ai livelli del 1905, quando negli Stati Uniti famiglie come Carnegie, Rockfeller e Vanderbilt controllavano vastissime fortune. Al tempo a dominare erano petrolio e acciaio, oggi c’è l’industria del digitale e della farmaceutica.
La pandemia ha acceso una luce fortissima sulla potenza dell’economia digitale, giustamente ponendo la transizione digitale come uno dei pilastri strategici, insieme alla trasformazione ecologica, per il mondo post-pandemia. Coloro che si pongono contro tutto questo sottolineano, ad esempio guardando all’Italia, che la guerra al “nanismo” economico condotta dai protagonisti della Quarta Rivoluzione Industriale a danno delle micro-piccole-medie imprese rappresenti un colpo mortale ai fondamenti del nostro sistema economico. Questo è un tema estremamente interessante con il quale fare i conti. Ma non serve l’antagonismo per comprendere le ragioni di chi sembra essere sul versante perdente della storia: ci vuole realismo critico.
La corsa dell’economia digitale, complice la pandemia e le chiusure forzate, si è sviluppata considerevolmente e senza particolare “attenzione etica” a quanto accadeva a livello sociale, anzi facendone un dato di business. Uso una espressione così radicale perché, particolarmente nella fase di lockdown, si è esponenzialmente diffuso il disagio e sono proporzionalmente aumentati i profitti (nota n. 1).
Non vi è dubbio che nei tempi delle restrizioni, nella paura reale e/o costruita dai media, le persone abbiano cercato di evadere da una “galera” informativa che li appiattiva sul binomio pericolosità del virus-uscita dal virus. Se ci fermiamo un attimo a pensare quanto i media abbiano lasciato spazio a qualcosa che non fosse il Covid ci rendiamo conto che resta ben poco: e il resto, a ben guardare, era – ed è – praticamente invaso dal “pettegolezzo” politico. In aggiunta, senza contatto fisico, si è scatenata una rabbia che ha trovato sfogo sia nei dibattiti allucinanti dei talk televisivi (sempre gli stessi ospiti, quelli che – qualunque parte rappresentassero o rappresentino – provocano la rissa) e soprattutto nei social. In termini di giudizio storico, mentre i pochi continuano a guadagnare, è il pensiero antagonista (lasciato alle maggioranze “vinte”) che continua a trionfare. Insomma, i tantissimi che incarnano il pensiero antagonista fanno il gioco dell’avversario. Ho molti dubbi che tutto questo (paura, rabbia, miseria del dibattito pubblico) scompaia con la pandemia: si tratta, infatti, di qualcosa che ci appartiene e ci riguarda.
Vediamo le piazze che si agitano, molto spesso prendendo a pretesto decisioni del governo che, a sensazione di chi scrive, non meriterebbero troppa agitazione sociale. Occorre, invece, cercare di comprendere la ragione politica di quelle piazze: al di là delle strumentalizzazioni a opera di frange estreme (fenomeno antico), si tratta di piazze del disagio, composte da persone che sentono di trovarsi in una fase storica in cui è tolta loro la possibilità di essere soggetti di Politica, ritrovandosi a essere soggetti alla politica di pochi. Esplode, in sostanza, il bisogno di rappresentanza, ciò che la pandemia ha soltanto aggravato, e di proteggere il proprio futuro e quello delle proprie famiglie. Tutto questo, va da sé, si lega con l’astensione dilagante: alle ultime elezioni amministrative nei Comuni più importanti d’Italia abbiamo sentito il silenzio assordante di chi urlava la propria indifferenza a un sistema che non garantisce effettiva cittadinanza. Le persone non si fidano delle classi dirigenti (non solo politiche) perché sentono che queste fanno un altro gioco, certamente non il loro.
Se Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, sostiene che occorre ripensare il capitalismo, qui – molto più umilmente – si sostiene che occorra ri-pensare i paradigmi della Politica, a oggi ancora legati a un mondo che non c’è più. Le piazze che richiamavo nel paragrafo precedente, infatti, lottano contro un “nemico” che non riescono a definire, una sorta di nemico in perenne metamorfosi. Ebbene, è chiaro che siamo in una grande metamorfosi: ma non si può dare come soluzione il ripensamento di una faccia (a esempio, il capitalismo) del mosaico di realtà. Se quel ripensamento è necessario esso va inquadrato in un ripensamento più grande, complesso, sistemico, Politico. Senza questo, infatti, accadrà che le grandi corporation – come già avviene – si “truccheranno di etica” ma nulla toccherà i punti sensibili di un sistema malato nel profondo, malato politico: coloro che davvero comandano saranno più etici e il loro potere sarà salvo e accresciuto.
Intanto le piazze, in maniera semplicisticamente antagonista e senza ripensare la Politica, continueranno a contestare chi è sempre più sfuggente e potente.
Note:
(1) – Ilaria Bifarini, op.cit., pp. 104 e 105: Brian Solis, considerato uno dei massimi opinionisti ed esperti mondiali di new media, antropologo digitale “evangelista” dell’innovazione globale presso Salesforce, multinazionale attiva nelle tecnologie della Quarta Rivoluzione Industriale, ha rivelato come la dichiarata pandemia avrebbe dato vita a una nuova tipologia di consumatori, di grande interesse per il marketing e l’industria di produzione, ribattezzata generazione Novel, o N. Si tratta di un segmento di clienti emergente, che acquista on line ed è galvanizzato dagli effetti del Covid, emotivamente stressato, guidato dalla paura, dall’ansia e dalla preoccupazione. Le aziende dovranno concentrarsi sulla generazione N, per intercettare in che modo l’uso crescente e accelerato della tecnologia da parte dei consumatori influisca sulle loro preferenze, sui loro comportamenti e sulla routine. Queste intuizioni saranno fondamentali per guidare il brand, il prodotto e le strategie di mercato a essere più tempestive, pertinenti ed empatiche.