Nell’auspicare un veloce silenzio delle armi in Ucraina, continueremo a informare sulla guerra ma non ci occuperemo – in sede di ricerca – di commentare ciò che accade sul campo. Il nostro interesse è nell’oltre, nel cercar di capire le direzioni strategiche che maturano e nel proporre discorsi alternativi, non antagonistici ma critici.
Viviamo un tempo paradossale: mentre, da un lato, l’uomo raggiunge obiettivi tecnologici impressionanti, dall’altro lato si muove con una violenza inaudita verso gli altri uomini. Come dire, l’uomo esprime una potenza di evoluzione-involuzione che spesso non riesce a controllare.
Sullo sfondo notiamo la crisi de-generativa dell’ordine liberale, quella costruzione che, in tempi non troppo lontani, ci aveva garantito libertà, diritti, sviluppo, democrazia. Un ordine liberale che, dopo la fine della guerra fredda e l’implosione dell’Unione Sovietica, è stato stravolto in essenza, diventando un’altra cosa, ben diversa se non praticamente contraria all’assetto precedente: ciò che Parsi (2022) chiama l’ordine globale neoliberale. E’ in questo contesto che assistiamo alla, e viviamo, la crisi de-generativa della democrazia liberale, grande conquista che va ri-pensata e curata ogni giorno. Stati democratici e Stati autoritari (alcuni espressioni di vere e proprie “civiltà”, come la Cina) si confrontano, vecchi Imperi vorrebbero rinascere e la competizione si fa di giorno in giorno più aspra e più cattiva. Ne viene che i sistemi preferibili per conquista di libertà e diritti, quelli democratici, pagano il prezzo maggiore: essi, infatti, si muovono con più difficoltà perché, inevitabilmente, hanno pesi e contrappesi istituzionali, lasciano aperta la porta alla partecipazione e al dissenso, permettono l’auto-determinazione della persona. Tutto ciò che, a evitare equivoci di sorta, altri sistemi non prevedono.
Detto questo per chiarezza, però, anche le democrazie sono del tutto immerse nel processo di evoluzione-involuzione. Ciò che stiamo vivendo, dentro e al di là della guerra in Ucraina, è un quadro planetario che si sta riconfigurando. Siamo in una fase estremamente delicata perché è nelle transizioni, e nel loro governo, che ci si “gioca” il futuro. Decidere una direzione anziché l’altra, scegliere la contrapposizione o il dialogo non è neutro.
Le democrazie, se vogliono ancora essere riconosciute come il miglior sistema in cui vivere, hanno la responsabilità di riprendere in mano il filo di loro stesse. E ciò non può essere fatto solo attraverso la competizione con i sistemi autocratici (che, per loro natura, non arretrano di un millimetro) ma calandosi dentro un reale, e profondo, processo di auto-critica. Non vediamo in giro alcun segnale in questo senso ma, anzi, respiriamo una pericolosa ansia da prestazione che cerca di “imporre” valori e principi in modo indiscriminato e senza guardarsi dentro.
Quando, come vediamo, i rapporti internazionali si logorano attraverso accuse e provocazioni reciproche (che danneggiano tutti), a cominciare dal linguaggio, si nota l’assenza di mediazioni e visioni politiche in grado di ri-congiungere ciò che è disperso, di tenere insieme i soggetti di un mondo non più bi-polare ma nel quale i rapporti di potere si fanno sempre più fluidi e non riguardano più soltanto gli Stati ma molti altri soggetti.
Tutto questo ragionamento, che verrà sviluppato, deve partire da un tema che tutti avvertono nella vita quotidiana. Ben prima di questa guerra e ben prima della pandemia, infatti, erano chiari i segnali della evidente crisi de-generativa dei sistemi democratici. Si pensi, solo a esempio, al tema delle disuguaglianze e della povertà. Nelle nostre case, gli effetti di una “globalizzazione” de-regolamentata e sregolata si facevano sentire e aumentavano, progressivamente, il disagio e la tenuta sociale nonché la fiducia in democrazie le cui classi dirigenti non riuscivano più a coniugare le magnifiche sorti, e progressive, del mercato globale e le esigenze di vita quotidiana. Da qui bisogna partire, dalla condizione di chi dovrebbe alimentare la partecipazione democratica e, invece, come segnale politico, sceglie l’astensionismo.
Interrogarsi, alimentarsi nel dubbio, è operazione necessaria. Laddove continuiamo a sperimentare solo linearità, competizione e separazione, è venuto il tempo di introdurre elementi strategici di complessità, cooperazione, inclusione. Per nuove direzioni strategiche, a evitare che la Storia ci travolga.
Bibliografia in progress:
- Vittorio Emanuele Parsi, Titanic. Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale, il Mulino, Bologna 2022