Sentiamo spesso ripetere, con riferimento ai sistemi-Paese, la parola “stabilità”. In queste ore la leggiamo, a varie latitudini, con riferimento alla ricostituzione del “tranquillizzante” binomio Mattarella-Draghi in Italia.
Mi domando: la stabilità è un valore ? D’istinto la risposta non può che essere positiva. Un sistema stabile meglio resiste agli scossoni interni ed esterni, riesce a reagire con più efficienza, unisce le forze al proprio interno, ecc. Tutto questo è certamente vero, ma …
Quando diciamo che il mondo è complesso ci riferiamo non alle sue evidenti difficoltà (due per tutte: l’aumento esponenziale dei conflitti e la crescita delle disuguaglianze … per non parlare della pandemia) ma al fatto che i processi storici sono profondamente interrelati e si presentano a noi come un mosaico. Tali processi non sono separabili perché si alimentano reciprocamente (molto spesso pericolosamente): solo a esempio, la salute globale non è separabile dalla grande sfida del climate change e dalla necessità di ri-pensare una economia circolare, sostenibile e il più possibile equa.
Ecco che, di fronte ai nostri Stati, si presentano le crisi nella loro interrelazione e non “una alla volta”. Questa banale considerazione mi porta a una riflessione più realistica, o “realisticamente progettuale”, sul tema della stabilità. Un Paese è “resiliente” se è in grado di essere “stabilmente dinamico”. Ossimoro o necessità ?
Non intendo giocare con le parole, sia chiaro, ma tentare di percorrere una via che, con tutta evidenza, le classi dirigenti di oggi faticano a vedere. In un discorso sulla “sicurezza sistemica” dei Paesi la prospettiva qui proposta risulta decisiva (almeno secondo chi scrive).
La vera partita, in un mondo percorso dalla rivoluzione tecnologica e dalla continua trasformazione del rischio e per mantenere accettabile il livello e la qualità della sicurezza (per non farla de-generare in controllo o dominio), è il passaggio dallo Stato burocratico allo Stato democratico. Se i regimi autoritari fanno la scelta burocratica per “natura”, le democrazie liberali, soprattutto in questa fase storica, mostrano di non aver svolto quel passaggio. Semplificare la burocrazia non significa de-burocratizzare: allo stesso tempo, passare allo Stato democratico non significa rinunciare alla burocrazia. Il tema è ri-pensare lo Stato nel tempo della rivoluzione tecnologica, al contempo ri-pensando – per ri-fondare – la Politica.
Concludo dicendo che la stabilità diventa un valore da difendere nel momento in cui è il risultato complesso dell’evoluzione di uno Stato democratico che coglie e accoglie la complessità dei processi storici interrelati. In caso contrario, in Stati solo burocratici, la stabilità rischia di essere – a ben guardare – un rischioso dis-valore.
La ricerca continua …