(Marco Emanuele)
Chi vive sa che bisogna fare i conti con ciò-che-diventa. Complessità insegna che, per trasformare, bisogna percorrere, nell’oltre.
Essere realisti non è una scelta possibile. Essere realisti significa ri-congiungersi (congiungersi continuamente) nella realtà. Se c’è una guerra, e si cerca una tregua o un cessate il fuoco, occorre parlare con l’avversario/nemico di turno o con chi può parlare con l’avversario/nemico. E’ del tutto inutile sventolare bandiere moraleggianti, del ‘mai con …’, perché – in tal caso – mai si arriverà al risultato auspicato. Il ciò-che-diventa è l’anima di un vero realismo.
Sul medio-lungo periodo, culturalmente, il realismo deve diventare ‘visionario’. Non esiste solo il qui-e-ora, il presente imminente, la necessità. In tanti casi, negli ultimi decenni, abbiamo visto scelte funzionare nell’imminenza ma senza visione strategica, senza preoccupazione per ciò-che-diventa. Ma, nel realismo visionario, il futuro è già nel presente, non è la sua seconda fase.
In molti campi, dalla politica internazionale al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità al governo dell’innovazione tecnologica, la parola chiave è ‘transizione’. Ed è nella transizione, di noi che attraversiamo l’agire geostrategico, che può avvenire la trasformazione del realismo ‘necessario’ in realismo ‘visionario’. Non può esistere un mondo nuovo al di là di questo e, allo stesso tempo, non può reggere l’insistenza su un modello rivelatosi profondamente e strutturalmente insostenibile. Ci vuole complessità (e formazione permanente alla complessità), dall’alto e nel profondo, per cambiare via.
(English version)
In experiencing life, we must deal with ‘what becomes’. Complexity teaches that, to transform, we must travel into the beyond.
Being realistic is not an option. Being realistic means re-joining (continuously joining) in reality. If there is a war, and a truce or ceasefire is sought, it is necessary to speak with the adversary/enemy in question or with someone who can speak with the adversary/enemy. It is completely useless to wave moralizing flags of ‘never with…’, because – in this case – the desired result will never be achieved. ‘What becomes’ is the soul of true realism.
In the medium to long term, culturally, realism must become ‘visionary’. There is not only the here-and-now, the imminent present, the necessity. In many cases, in recent decades, we have seen choices work in the near future but without strategic vision, without concern for what-will-become. But, in visionary realism, the future is already in the present, it is not its second phase.
In many fields, from international politics to the achievement of sustainability objectives to the governance of technological innovation, the key word is ‘transition’. And it is in the transition, of us going through geostrategic action, that the transformation of ‘necessary’ realism into ‘visionary’ one can take place. A new world cannot exist beyond the one we live in and, at the same time, it cannot withstand the insistence on a model that has revealed itself to be profoundly and structurally unsustainable. It takes complexity (and ongoing training in complexity), from above and deep down, to change ways.
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