Dal ‘dejà vu’ mediorientale al chi diventiamo – From Middle Eastern ‘déjà vu’ to who we become

(Marco Emanuele)

Ci sembra che il copione di ciò che accade in Medio Oriente, certamente più grave – per i popoli israeliano e palestinese – rispetto a conflitti precedenti, sia per molti aspetti un ‘dejà vu’. La generazione di chi scrive (dei cinquantenni-sessantenni) ha memoria viva di altre operazioni militari, degli infiniti appelli per l’esistenza di Israele e per la vita in sicurezza del suo popolo (in patria e nel mondo), delle lotte per il popolo palestinese e del suo diritto a essere degnamente rappresentato e sostenuto.

L’oggi ci tocca profondamente per l’intensità e la rabbia crescente dei fatti che accadono e per una geopolitica che, come scrivevamo in altre occasioni, ‘passa sopra’. Financo la verità dei fatti non interessa più perché ormai vincono il risentimento e il bisogno di vendetta: ci riferiamo – nello specifico – al missile che ha colpito il parcheggio dell’ospedale di Gaza. Ecco, siamo arrivati a questo punto: la vendetta come bisogno, l’incapacità di tracciare strade alternative, la morte della politica.

Ma, dal nostro punto di vista, è ancora più grave, maggiormente rischiosa, la possibile saldatura tra i conflitti guerreggiati in giro per il mondo e nella policrisi de-generativa che attraversa il mondo e i mondi. Viviamo un tempo in cui, complici i social media, un conflitto cancella l’altro. Viviamo in un tempo in cui tutti si concentrano sull’atrocità del momento, sul disastro naturale che accade ora, e così via. Non c’è visione sistemica che tenga conto della dinamicità dell’insieme-mondo ma tutti si concentrano su quel fatto in quel momento. Poco importa, a coloro che fanno opinione, del perché siamo arrivati a tutto questo e, meno ancora, del chi diventiamo.

Ecco perché noi vogliamo pensare altro, nell’oltre. Il pensiero complesso è indispensabile. Non si può continuare con un pensiero lineare, solo competitivo e separante, che non si cala nel mondo-che-è, in una condizione umana che, ciclicamente ma sempre di più, si ritrova fragile e dentro un male banale che ha con-cause inseparabili in noi. Occorre lavorare geostrategicamente, ognuno per ciò che può, per formare nuove classi dirigenti e per dare sostanza a un ri-pensamento complessivo e complesso che non può più attendere.

(English version)

It seems to us that the script of what is happening in the Middle East, certainly more serious – for the Israeli and Palestinian peoples – than previous conflicts, is in many respects ‘deja vu’. The generation of the writer (those in their 50s and 60s) has vivid memories of other military operations, of the endless appeals for the existence of Israel and the safe lives of its people (at home and around the world), of the struggles for the Palestinian people and their right to be worthily represented and supported.

Today touches us deeply because of the intensity and growing anger of the events that are happening and because of a geopolitics that, as we have written on other occasions, ‘passes over’. Even the truth of the facts no longer interests us because resentment and the need for revenge now win out: we refer – specifically – to the missile that hit the Gaza hospital car park. This is where we are now: revenge as a need, the inability to chart alternative paths, the death of politics.

But, from our point of view, even more serious, even more risky, is the possible welding together of the warring conflicts around the world and in the de-generative polycrisis that crosses the world and worlds. We live in a time where, with the help of social media, one conflict erases the other. We live in a time where everyone focuses on the atrocity of the moment, the natural disaster happening now, and so on. There is no systemic vision that takes into account the dynamism of the whole world, but everyone focuses on that fact at that moment. Little does it matter, to those who take an opinion, why we have come to this and, even less, who we become.

That is why we want to think in the beyond. Complex thinking is indispensable. We cannot continue with linear thinking, which is only competitive and separating, which does not immerse itself in the world-that-is, in a human condition that, cyclically but increasingly, finds itself fragile and within a banal evil that has inseparable con-causes in us. We need to work geostrategically, each for what he or she can, to form new ruling classes and to give substance to a comprehensive and complex re-thinking that can wait no longer.

(riproduzione autorizzata citando la fonte)

 

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