The ‘worlds against’
International relations, in the third millennium of the human condition and in the evident reconfiguration of power relations at the global level, are characterised by the practice of ‘worlds against’. It clashes with the geostrategic goal of the ‘complex sustainability’ of the world.
The ‘worlds against’ represent the negation of the complexity of reality. This approach is a symptom of a lack of new political vision and of the substantial inability of the ruling classes to re-appropriate the evolving reality. Exaggerated linearity generates the exponential growth of risks to which our societies are now dramatically exposed.
The ‘worlds against’ also take away the legitimacy of safeguarding national interests because they make them weapons to be used to increase strategic zones of influence or to invade sovereign countries (as is tragically happening in Ukraine). Yet national interests represent what each country is and, if they cannot be trampled upon or humiliated, neither should they be dogmatised.
Today we are at the point of mutual, and dangerous, radicalisation. The ‘worlds against’ are not separate but it is the trust between global, regional and national players that is progressively diminishing. The ‘political glue’ that can make the world a ‘complex mosaic’ is missing.
For more than thirty years, since the end of the bipolar order, the ruling classes have not invested in a new ‘planetary architecture’ appropriate to the times. They preferred, in fact, to let the world evolve in ‘laissez faire’. It was thought that democracy, market, technological innovation and competition, without adequate political government, would be able to unite the world in prosperity. This was not the case. This was due to the absence of politics and the cultural inability to grasp and embrace the complexities of the worlds: complexities that, within an interrelated world traversed by trade and cultural exchanges, over time have become radicalised, demanding legitimacy.
We pretended not to see, especially in the West. The choice to separate the world between democracies and autocracies, between good and evil, has never ceased in recent years: as if someone had the right to stand as the ‘supreme judge’ of history.
The practice of ‘worlds against’ accentuates the risks because it increases ‘systemic fragility’. Especially within the de-generative megacrisis we are experiencing, the insistence on separation is anti-historical. Trust is not a commodity that can be bought but is a slow and patient political-diplomatic work of rapprochement and mending.
Evoking dialogue, in the times we live in, means considering that while power relations and special interests cannot be eliminated, the inevitable conflicts between differences can be transformed into opportunities for ‘cooperative competition’.
An unsustainable world is increasingly insecure. Competition has moved into social dynamics and the lack of trust between global, regional and national players is transferred into human societies, radicalising individual positions and dangerously problematising the ‘common good’.
There is an urgent need to change course. The ‘worlds against’ approach is not inevitable. New awareness and the will/ability to re-think the world politically are needed. If evil belongs to us, the solution – in an interrelated world – cannot be to increase distances and separations. Indeed, the fate of humanity is at stake, and part of it is governed by authoritarian regimes with whom we need to know how to deal: as unfair as this may seem, it is profoundly necessary.
Knowing how to deal with authoritarian regimes does not mean giving in to the reasons of violence and oppression. In 2022, no one can accept an unlimited war at the gates of Europe or anywhere else in the world. Free women and men must condemn the choice of Vladimir Putin and his power group. To stop the war, however, neither moral appeals nor radical pacifism are sufficient, and it is extremely dangerous, while also helping the Ukrainian people to defend themselves militarily, to insist on the militarisation of the world (especially where nuclear escalation is threatened). The only way forward are ‘diplomatic dialogues’ which, by their nature and rightly so, must maintain confidentiality.
We do not know how diplomacies are moving with respect to Putin’s war in Ukraine, but we know, by observing it every day, how the world is turning into a ‘third world war in chapters’. It is a war not necessarily fought by armies but a permanent ‘complex war’ involving the whole of humanity and the planet in the ongoing de-generative megacrisis.
Italian version
I ‘mondi contro’
Le relazioni internazionali, nel terzo millennio della condizione umana e nella evidente riconfigurazione dei rapporti di potere a livello globale, si caratterizzano per la pratica dei ‘mondi contro’. Essa si scontra con l’obiettivo geostrategico della ‘sostenibilità complessa’ del mondo.
I ‘mondi contro’ rappresentano la negazione della complessità del reale. Tale pratica è sintomo di una mancanza di nuova visione politica e della sostanziale incapacità delle classi dirigenti di ri-appropriarsi della realtà che evolve. L’esasperata linearità genera la crescita esponenziale dei rischi ai quali le nostre società sono ormai drammaticamente esposte.
I ‘mondi contro’, inoltre, tolgono legittimità alla salvaguardia degli interessi nazionali perché li rendono armi da utilizzare per aumentare le zone d’influenza strategiche o per invadere paesi sovrani (come sta tragicamente accadendo in Ucraina). Eppure gli interessi nazionali rappresentano ciò che ogni paese è e, se non possono essere calpestati o umiliati, non devono neppure essere dogmatizzati.
Oggi siamo al punto di una reciproca, e pericolosa, radicalizzazione reciproca. I ‘mondi contro’ non sono separati ma è la fiducia tra i player globali, regionali e nazionali a diminuire progressivamente. Manca il ‘collante politico’ che può rendere il mondo un ‘mosaico complesso’.
Da più di trent’anni, dalla fine dell’ordine bipolare, le classi dirigenti non hanno investito su una nuova ‘architettura planetaria’ adeguata ai tempi. Si è preferito, infatti, lasciare che il mondo evolvesse nel “laissez faire”. Si è pensato che democrazia, mercato, innovazione tecnologica e competizione, senza un governo politico adeguato, fossero in grado di unire il mondo nel benessere. Così non è stato. Ciò è avvenuto per l’assenza di politica e per l’incapacità culturale di cogliere e di accogliere le complessità dei mondi: complessità che, dentro un mondo interrelato e percorso da scambi commerciali e culturali, con il tempo si sono radicalizzati chiedendo legittimità.
Abbiamo fatto finta di non vedere, soprattutto in Occidente. Non è mai cessata, negli ultimi anni, la scelta di separare il mondo tra democrazie e autocrazie, tra bene e male: come se qualcuno avesse il diritto di ergersi a ‘giudice supremo’ della storia.
La pratica dei ‘mondi contro’ accentua i rischi perché accresce la ‘fragilità sistemica’. Soprattutto dentro la megacrisi de-generativa che stiamo vivendo, l’insistenza sulla separazione è anti-storica. La fiducia non è merce che si compra ma è un lento e paziente lavorio politico-diplomatico di riavvicinamento e ricucitura.
Evocare il dialogo, nel tempo che viviamo, significa considerare che, se i rapporti di forza e gli interessi particolari non sono eliminabili, i conflitti inevitabili tra differenze possono essere trasformati in opportunità di ‘competizione cooperativa’.
Un mondo insostenibile non può che essere sempre più insicuro. La competizione, infatti, si è trasferita nelle dinamiche sociali e la mancanza di fiducia tra player globali, regionali e nazionali si trasferisce all’interno delle società umane, radicalizzando le posizioni individuali e problematizzando pericolosamente il ‘bene comune’.
E’ urgente cambiare via. L’approccio dei ‘mondi contro’ non è inevitabile. Occorrono nuove consapevolezze e la volontà/capacità di ri-pensare il mondo politicamente. Se il male ci appartiene, la soluzione – in un mondo interrelato – non può essere quella di accrescere le distanze e le separazioni. In gioco, infatti, c’è il destino dell’umanità e una parte di essa è governata da regimi autoritari con i quali bisogna saper trattare: per quanto tutto questo possa apparire ingiusto, è profondamente necessario.
Saper trattare con i regimi autoritari non significa cedere alle ragioni della violenza e della sopraffazione. Nel 2022, infatti, nessuno può accettare una guerra senza limiti alle porte dell’Europa o da qualunque altra parte nel mondo. Le donne e gli uomini liberi devono condannare la scelta di Vladimir Putin e del suo gruppo di potere. Per fermare la guerra, però, non bastano né gli appelli morali, né un pacifismo radicale ed è estremamente pericolo, pur aiutando il popolo ucraino a difendersi militarmente, insistere sul piano della militarizzazione del mondo (soprattutto laddove si minaccia l’escalation nucleare). L’unica strada sono i ‘dialoghi diplomatici’ che, per loro natura e giustamente, devono mantenere la riservatezza.
Noi non sappiamo come si stiano muovendo le diplomazie rispetto alla guerra di Putin in Ucraina ma sappiamo, osservandolo ogni giorno, come il mondo si stia trasformando dentro una ‘terza guerra mondiale a capitoli’. Si tratta di una guerra non necessariamente combattuta dagli eserciti bensì di una permanente ‘guerra complessa’ che coinvolge l’intera umanità e il pianeta nella megacrisi de-generativa in atto.