L’orizzonte politico va costruito, tra mediazione e visione. Nella megacrisi de-generativa in cui siamo immersi, guardando allo sviluppo umano integrale (1) e immaginando scenari complessi, l’approccio della Chiesa Cattolica e l’elaborazione nel pensiero complesso fanno la differenza.
Nel cambio di era è necessario, anzitutto, uscire dalle secche del ‘900. “Secolo breve” secondo alcuni, il ‘900 si sta rivelando lunghissimo: la guerra nel cuore dell’Europa, esistenziale per tutti i soggetti coinvolti, ha portato indietro l’orologio della storia e mostra, drammaticamente, i nodi irrisolti dalla fine del mondo bi-polare e le fragilità e i limiti della costruzione globalizzata avviata nell’euforia di “fine della storia” di inizio anni ’90 e del sistema multilaterale.
Il lavoro nei “segni dei tempi” è progettuale, si cala nel “presente storico” camminando nell’incertezza del futuro già presente (la mappa delle “ferite aperte e sanguinanti, peraltro sempre incompleta”, evocata da Spadaro) (2).
Le parole incertezza e crisi rischiano di vivere un destino ingiusto perché entrambe vengono interpretate in accezione quasi sempre negativa. Incertezza e crisi, che torneranno molto nella nostra riflessione, riguardano l’essenza stessa del nostro essere e del nostro stare-nel-mondo. Incerta è la nostra condizione esistenziale, sempre di frontiera e in bilico tra “il già” e “il non ancora”; crisi è il profondo della vita che si trasforma e che ci fa evolvere-involvere in ogni istante (3)
Il punto da sottolineare con grande attenzione è che l’essere in competizione esasperata con ogni altro genera incomprensione, separazione, scarto. Così facendo si sceglie, come vediamo accadere, di esercitare la competizione per la competizione e di non aprire la stessa alla cooperazione come elemento positivo di speranza per il bene comune: guardando oltre, per un bene comune che chiamiamo “destino planetario”. La competizione senza cooperazione, nella quale incertezza e crisi sono intese solo negativamente e dove il sano conflitto fra differenze diventa scontro tra posizioni radicalizzate e non dialoganti, fa dell’altro uno sconosciuto (altro “da” noi) e non la parte di noi che ancora non conosciamo (altro “di” noi). Al lettore non sfuggirà quanto questo ragionamento valga per i rapporti interpersonali fino ai rapporti internazionali.
La storia evolve-involve tra evidenza e mistero. Nulla è solo come sembra e nulla è separabile dal resto. Camminare nell’orizzonte politico significa percorrere la frontiera-che-siamo. Da qui la nostra convinzione che al centro del mosaico-mondo debba esserci la relazione e non l’imposizione di qualsivoglia parte sul Tutto, pena l’insostenibilità. Il cammino incerto nell’orizzonte politico è continua ricerca di noi, nell’oltre.
La storia che viviamo ci mostra l’evidenza di una tendenza alla separazione: si tratta di una tendenza malata, incapace di tenere insieme le parti del mosaico-mondo, ben considerando che il male va riconosciuto per quello che è. La sconfitta del male passa, però, dalla ri-costruzione (costruzione continua) di canali di mediazione, d’incontro e di dialogo. Raramente, nell’analizzare i fatti storici, ci soffermiamo sull’ in-mezzo che è il mistero che ci lega, luogo della relazione. Ci lasciamo sopraffare, molto spesso per scelta tattica che non ha respiro se non quello (illusorio) della soddisfazione immediata, dall’evidenza che domanda soluzioni lineari, senza mediazione né visione.
Non riflettiamo sui danni che causiamo attraverso il nostro comportamento separante. Radicalizzarci nell’evidenza, senza calarci nella misteriosa complessità dei nuovi inizi, è un grave errore. Questo assunto è particolarmente vero in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. Recentemente, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, ha detto: La soluzione dei conflitti non giunge dividendo, polarizzando il mondo tra chi è buono e chi è cattivo. (4). Il che, lo ribadiamo, non significa non riconoscere il male ma cercare con ogni mezzo di aprire nuove strade. Agire in senso ostinatamente contrario, viene da pensare, potrebbe significare avere un altro obiettivo rispetto a quello della pace. Lo sviluppo umano integrale chiede pensiero complesso e un agire diplomatico-politico di ri-congiunzione di ciò che è disperso.
La guerra in Ucraina è una parte tragica della “guerra mondiale a pezzi” che non si combatte solo con le armi ma che si allarga dentro il crescente disagio sociale, nella insostenibile progressione delle disuguaglianze, nel lavoro povero, in ogni forma di povertà materiale e spirituale che contribuisce, drammaticamente, ad aumentare l’insostenibilità sistemica planetaria. Gli esperti ci daranno conto delle migliori soluzioni tecniche con le quali definire politiche adeguate ma ciò che manca è il coraggio di abbracciare il mondo al di là dei tecnicismi. Le classi dirigenti (partitiche e non) in democrazia (senza voler generalizzare), e l’astensionismo dilagante sembra dimostrarlo, sembrano scollegate dalla realtà “carne e sangue” delle comunità umane.
C’è molto lavoro da fare. Il nostro cammino ha il sapore di un laboratorio complesso nel quale l’orizzonte politico è la strada. Non si tratta di una prospettiva irrealizzabile, come ogni orizzonte che – avvicinandoci – si allontana, ma di un lavoro da dentro, nel profondo: l’orizzonte politico ci riguarda, parte del mosaico umano e planetario, come soggetti storici.
Riferimenti – note
(1) Lo sviluppo dei popoli dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo (Papa Paolo VI, enciclica “Populorum progressio”, 14). Mauro Ceruti (prefazione a Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis 2021, p. 13) scrive che Morin delinea (…) l’orizzonte di un umanesimo rigenerato, volto a sviluppare la coscienza dell’inseparabilità dell’unità e della diversità umana, della responsabilità umana nei confronti della natura vivente e non vivente della nostra Terra-Patria, della comunità di destino di tutti gli uomini.
(2) Antonio Spadaro, L’atlante di Francesco, Marsilio 2023, p. 8
(3) Francesco ha una visione evangelicamente dialettica della storia: è come se dicesse che se non c’è crisi non c’è vita. In questo senso la crisi evoca la speranza. Da qui il suo messaggio: in tempi di crisi occorre essere realisti, e “una lettura della realtà senza speranza non si può chiamare realistica. La speranza dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire” (Spadaro, cit., p. 11)
(4) Valerio Palombaro, La “diplomazia della misericordia” tiene aperta la porta del dialogo, L’Osservatore Romano, 14 marzo 2023