Bussola geostrategica e rischio esistenziale – Geostrategic compass and existential risk

Compito degli intellettuali del terzo millennio, nel cambio di era che l’umanità sta attraversando, è di cogliere la complessità di ciò che accade dentro e fuori di noi. Pensiero complesso, sviluppo umano integrale ed etica della tecnologia sono il quadro di riferimento nel quale occorre muoversi: guardando alla sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi.

Oggi più che mai, la riflessione su pace e guerra incrocia ogni altro discorso legato alla megacrisi de-generativa che viviamo. Nulla è dissociabile dal resto e il perseverare in un approccio lineare e separante ai problemi e alle sfide della storia non fa che aumentare il rischio esistenziale che è caratteristica traversale del nostro tempo.

Solo una considerazione complessa della realtà può mitigare il rischio esistenziale che è sistemico. Il mondo che abbiamo contribuito a costruire, e che crediamo debba cambiare via, dipende da noi, dalla nostra responsabilità-irresponsabilità. E’ venuto il tempo di un nuovo discorso pubblico.

Il progresso porta dentro il regresso. Questa è una lezione che la storia ci insegna da sempre e il nostro vivere è sintesi continua tra le forze positive e quelle negative, inseparabili le une dalle altre. Nessuno può ergersi a giudice della storia perché, particolarmente negli ultimi trent’anni, tutti abbiamo contribuito a far de-generare la situazione planetaria dopo la fine dell’equilibrio bipolare e l’implosione dell’Unione Sovietica. A nostra valutazione, accanto agli innegabili aspetti positivi di questa fase della globalizzazione, non si è lavorato a  definire dinamicamente una bussola geostrategica che ci orientasse in un mondo non più novecentesco: per chi vuole vedere e capire, la storia non finisce.

Il rischio esistenziale vive dentro un grande paradosso. Oggi, infatti, è lo stesso uomo a creare le condizioni di un mondo profondamente disuguale e la realtà di un mondo tecnologicamente avanzatissimo. Come non basta dire democrazia per vivere in libertà e giustizia e per generare sviluppo, altrettanto non basta dire tecnologia per essere protagonisti del futuro già presente.

Democrazia e tecnologia devono essere ri-contestualizzati dentro la complessità del reale planetario e dentro un lavoro continuo per lo sviluppo umano integrale. La sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi si costruire a partire dalla mitigazione del rischio esistenziale.

Democrazia e tecnologia, dentro un nuovo discorso pubblico che si lasci finalmente alle spalle il pensiero novecentesco legato a un mondo che non c’è più, devono essere de-dogmatizzate. Mentre la democrazia necessita di un’auto-critica sostanziale, la tecnologia ha bisogno di un’etica capace di illuminare le zone buie dell’evoluzione (i rischi) per consolidare le tante zone di luce (le opportunità).

Dentro la condizione tecno-umana (Benanti, 2021), il pensiero è chiamato a porsi nuove domande sul chi siamo nel chi diventiamo. Domande che toccano tutta la complessità che ci riguarda e che ci circonda, in buona parte un tema ancora sconosciuto. C’è un mistero nel mondo insostenibile in cui siamo immersi: i passi dell’uomo nell’oltre.

Ogni volta che ci inoltriamo in un sentiero sconosciuto, il nostro atteggiamento è di gelosa conservazione delle certezze che abbiamo ereditato, e che ci hanno reso ciò che siamo (esseri umani in un infinito presente); pericolosamente radicalizzati nelle certezze, al contempo abbia paura dell’oltre, dell’ignoto, del cammino che si fa camminando. Eppure dovremmo essere consapevoli che, oggi più che mai, la fluidità e la velocità sono le caratteristiche della “nuova” radicalità dei processi storici.

Camminiamo nell’età dell’incertezza e non possiamo più pre-definire il percorso e l’arrivo del cammino. Questa condizione problematizza la nostra ragione, piuttosto abituata a controllare e non a scoprire, e la nostra volontà, incapace di incidere su una realtà che non controlliamo in gran parte.

Nell’assenza di un “ambiente politico” in grado di accompagnare l’umanità e ogni uomo nel cambio di era e dentro un pensiero ancora lineare e separante, il cammino nell’incertezza aumenta la percezione del rischio esistenziale in noi. L’incertezza, da nostra condizione naturale, diventa insicurezza, genera sfiducia, sospetto e paura e – anziché portarci nell’oltre come luogo di ri-appropriazione di chi diventiamo – contribuisce a radicalizzarci in chi siamo nel “qui e ora”.

Nel camminare, sfiduciati e impauriti, perdiamo il mistero dell’oltre per rinchiuderci nella certezza di ciò che conosciamo. Ma questo atteggiamento contrasta fortemente con la ricerca nell’oltre che è, anzitutto, nostra tensione a essere sempre più compiutamente (senza mai realizzarci “del tutto”).

Nel cammino nell’incertezza abbiamo bisogno di una nuova bussola geostrategica. L’orientamento è fondamentale, sia per mitigare il rischio esistenziale che per restituire a ogni uomo dignità e per permettere a ciascuno di poter esprimere capacità di giudizio storico.

Nel cammino nell’incertezza, il quadro di riferimento che abbiamo individuato, pensiero complesso – sviluppo umano integrale – etica della tecnologia, verso la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi, rappresenta la nostra bussola geostrategica.

Grande è la preoccupazione per le prospettive del mondo in cui viviamo. Non ci accompagnano, infatti, adeguate mediazioni dei rapporti di potere in evidente ricomposizione e visioni di medio e lungo periodo. Il pensiero complesso è necessario perché dobbiamo ri-abituarci a tenere insieme, dall’alto e nel profondo, gli aspetti morale, culturale, politico-istituzionale, economico e giuridico del nostro agire nella storia. Allo stesso tempo, il lavoro è di ri-congiungimento di ciò che è disperso e, soprattutto, di ri-fondazione del “mosaico-mondo”.

Non solo dall’alto e nel profondo, la bussola geostrategica tarata sul paradigma della complessità deve indicarci orizzonti di orientamento tra formalità e informalità. Il pensiero complesso è critico (non antagonista) e libero nel non cercare insistentemente e ossessivamente un centro che non c’è e non ci sarà più (è finita l’era dell’ordine mondiale novecentesco): lo sviluppo umano integrale vive nelle “periferie esistenziali” e l’innovazione tecnologica ci mostra il bisogno crescente di un’etica condivisa e complessa. Serve un pensiero laterale che sappia farci camminare nell’incertezza di realtà.

(English version)

The task of the intellectuals of the third millennium, in the changing era that humanity is going through, is to grasp the complexity of what is happening inside and outside of us. Complex thinking, integral human development and the ethics of technology are the frame of reference in which we must move: looking at the political-strategic sustainability of the world and worlds.

Today more than ever, reflection on peace and war intersects with any other discourse related to the de-generative megacrisis we are experiencing. Nothing can be dissociated from the rest, and persisting in a linear and separating approach to the problems and challenges of history only increases the existential risk that is a transversal characteristic of our time.

Only a complex consideration of reality can mitigate the existential risk that is systemic. The world that we have helped to build, and that we believe must change away, depends on us, on our responsibility-irresponsibility. The time has come for a new public discourse.

Progress brings regress. This is a lesson that history has always taught us, and our life is a continuous synthesis of positive and negative forces, inseparable from each other. No one can stand as judge of history because, particularly in the last thirty years, we have all contributed to the de-generation of the planetary situation after the end of the bipolar balance and the implosion of the Soviet Union. In our opinion, alongside the undeniable positive aspects of this phase of globalisation, no work has been done to dynamically define a geostrategic compass that would orient us in a world that is no longer 20th century: for those who want to see and understand, history does not end.

The existential risk lives within a great paradox. Today, in fact, it is man himself who creates the conditions of a profoundly unequal world and the reality of a technologically advanced world. Just as it is not enough to say democracy to live in freedom and justice and to generate development, it is equally not enough to say technology to be protagonists of the future that is already present.

Democracy and technology must be re-contextualised within the complexity of planetary reality and within an ongoing work for integral human development. The political-strategic sustainability of the world and worlds is built from the mitigation of existential risk.

Democracy and technology, within a new public discourse that finally leaves behind twentieth-century thinking linked to a world that no longer exists, must be de-dogmatised. While democracy needs substantial self-criticism, technology needs an ethics capable of illuminating the dark zones of evolution (the risks) to consolidate the many zones of light (the opportunities).

Within the techno-human condition (Benanti, 2021), thought is called upon to ask new questions about who we are in who we become. Questions that touch on all the complexity that concerns and surrounds us, much of which is still unknown. There is a mystery in the unsustainable world in which we are immersed: man’s steps into the beyond.

Every time we set out on an unknown path, our attitude is one of jealous preservation of the certainties we have inherited, and which have made us what we are (human beings in an infinite present); dangerously entrenched in certainties, at the same time afraid of the beyond, of the unknown, of the path we walk. Yet we should be aware that, today more than ever, fluidity and speed are the characteristics of the ‘new’ radicality of historical processes.

We walk in the age of uncertainty and can no longer pre-define the path and the arrival of the journey. This condition problematises our reason, which is rather accustomed to controlling and not discovering, and our will, which is incapable of affecting a reality that we largely do not control.

In the absence of a ‘political environment’ capable of accompanying humanity and every man in the change of era and within a still linear and separating thinking, the journey into uncertainty increases the perception of existential risk in us. Uncertainty, from being our natural condition, becomes insecurity, generates mistrust, suspicion and fear and – instead of taking us into the beyond as a place of re-appropriation of who we become – contributes to radicalising us into who we are in the ‘here and now’.

In walking, distrustful and fearful, we lose the mystery of the beyond to lock ourselves in the certainty of what we know. But this attitude contrasts sharply with the quest into the beyond which is, first and foremost, our striving to be more and more fully (without ever realising ourselves ‘fully’).

In the journey through uncertainty, we need a new geostrategic compass. Orientation is fundamental, both to mitigate existential risk and to restore dignity to every man, and to enable each person to be able to make historical judgements.

In the journey through uncertainty, the framework we have identified, complex thinking – integral human development – ethics of technology, towards the political-strategic sustainability of the world and worlds, is our geostrategic compass.

There is great concern about the prospects of the world in which we live. In fact, we are not accompanied by adequate mediations of power relations in evident recomposition and by medium- and long-term visions. Complex thinking is necessary because we have to re-inhabit ourselves to hold together, from above and in depth, the moral, cultural, political-institutional, economic and legal aspects of our action in history. At the same time, the work is about reuniting what is dispersed and, above all, re-founding the ‘mosaic-world’.

Not only from above and below, the geostrategic compass calibrated on the complexity paradigm must show us horizons of orientation between formality and informality. Complex thinking is critical (not antagonistic) and free in not insistently and obsessively seek a centre that does not exist and will no longer exist (the era of the twentieth-century world order is over): integral human development lives in the ‘existential peripheries’ and technological innovation shows us the growing need for a shared and complex ethics. What is needed is lateral thinking that can make us walk through the uncertainty of reality.

The call for AI Ethics

Il Manifesto della Società 5.0

Bussola geostrategica. Note di accompagnamento

  • Paolo Benanti, Tecnologia per l’uomo. Cura e innovazione, San Paolo 2021, pp. 26 e 27: La condizione tecno-umana è (…) la traccia visibile di quella condizione di “ulteriorità” che caratterizza l’essere umano, una condizione che, in diverse tradizioni sapienziali e religiose, è stata definita, anche se con accezioni e significati diversi, come spirituale. Questa consapevolezza sull’umano ci chiede però di rileggere il nostro modo di comprendere la tecnologia ripercorrendo la pluralità di modi con i quali l’artefatto tecnologico ha provocato il nostro comprendere: la tecnica sebbene ci accompagni da sempre non è stato un luogo di riflessione esplicita. Solo nel Novecento, dopo gli shock culturali di due guerre mondiali, vinte grazie alla tecnologia, l’industrializzazione pervasiva del globo e l’arrivo digitale, la tecnica/tecnologia è divenuta uno dei luoghi di maggiore attenzione del pensiero umano.
  • Benanti, Tecnologia per l’uomo, cit., pp. 58 e 59: la tecnologia, specie nel suo diventare infrastruttura, non (può) mai essere compresa come un qualcosa di neutrale. L’utente non vede solamente una striscia di asfalto e ponti in calcestruzzo ma sperimenta gli effetti di una serie di scelte invisibili ma efficaci nel determinare alcune delle possibilità o delle impossibilità che si hanno nell’utilizzo di tale struttura. Nella progressiva tecnologizzazione della società l’idea di una relazione mano-artefatto come unico momento etico sembra non più capace di dire lo strutturarsi di relazioni, scelte con valore etico e possibilità che fondano il complesso tecnologico e ne sostengono il funzionamento. L’etica nel suo porre in questione la tecnologia deve anche portare la sua incalzante domanda di senso a questo livello: difficile da vedere ma efficacissimo nel plasmare i limiti della libertà del suo utente. 
  • Benanti, Tecnologia per l’uomo, cit., p. 60: L’etica della tecnologia deve poter guardare a come l’innovazione non solo cambi l’esecuzione di un compito ma anche come trasformi le relazioni sociali. L’idea che il lavoro e l’economia di fatto vengano profondamente influenzati dall’economia di scala chiede che la domanda etica si faccia domanda di giustizia e di equità. Questo tema diviene ancora più urgente se consideriamo come brevetti, marchi registrati e altri vincoli commerciali possano influenzare l’economia globale.
  • Benanti, Tecnologia per l’uomo, cit., pp. 66 e 67: L’etica ha quella che potremmo definire una funzione ecologica portando una domanda sull’umanizzazione o disumanizzazione indotta dall’innovazione tecnologica e su come si possa fin dal progetto, si direbbe in inglese by design, introdurre degli accorgimenti che evitino effetti disumanizzanti nell’uso della tecnologia o nella sua implementazione. L’etica della tecnologia è quella forma della riflessione etica che sorge al darsi di queste trasformazioni tecnologiche e che, ponendo in questione la tecnologia con una sorta di incedere socratico, vuole portare alla luce le forze e le decisioni che contribuiscono a fare della tecnologia l’elemento maggiormente caratterizzante il nostro presente.

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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