Verso un “progetto di civiltà” (Marco Emanuele)

Nel guardare all’ evoluzione del mondo colpito dalla pandemia, alcuni temi stanno in cima alle mie riflessioni. Non sono certo gli unici ma, cercando di individuare ciò che può fare la differenza, ragiono intorno:

  • alla metamorfosi del rischio;
  • all’impatto delle tecnologiche emergenti;
  • all’impatto del climate change;
  • alle metamorfosi del capitalismo verso una “nuova” economia;
  • allo “svuotamento” democratico;
  • alla rincorsa verso un “nuovo” ordine.

Si tratta, con tutta evidenza, di temi straordinariamente importanti e imprescindibilmente legati l’uno all’altro. La loro importanza e la loro interdipendenza costituiscono ciò che ci vincola a un pensiero complesso (che superi la linearità), sistemico (che superi la settorialità), critico (che superi la superficialità e gli antagonismi). Questo è il senso della ricerca che avvio oggi.

Siamo in un momento storico nel quale qualcuno potrebbe approfittare della pandemia per ricostruire un nuovo ordine ? La questione è affascinante ma, credendo in una visione progettuale della storia, preferisco lavorare sulla prospettiva di un “progetto di civiltà” ponendo l’umanità e il pianeta al centro. Una umanità e un pianeta certamente attraversati da una infinità di dinamiche create da noi e che, a ben guardare, rischiano di non essere più controllabili dalla intelligenza e dalla volontà dell’uomo.

Faccio fatica, per sensibilità e per ricerca personale, a utilizzare con facilità (come leggo molto spesso), l’aggettivo “totalitario”. Anche se, devo ammettere, in molte situazioni vedo l’avanzare di segni che richiamano quel pericolo. Se ne scrive molto riguardo all’utilizzo delle tecnologie. Se diciamo che la tecnologia non è neutra, il problema è la sua finalizzazione. Non esiste, dunque, una tecnologia buona o una tecnologia cattiva in sé e non si può dire, richiamando “linearmente” il totalitarismo, che sia l’avanzata tecnologica a rappresentare un pericolo bensì è l’uso che l’uomo può farne. In sostanza, tecnologia non fa rima con sorveglianza di massa.

Viviamo in un tempo, e questo è un dato che mi sembra incontrovertibile, nel quale la rabbia personale e sociale non viene canalizzata in un progetto storico. Essa, al contrario, viene esasperata e sfogata contro l’altro, di volta in volta individuando il bersaglio: che sia il migrante, il non vaccinato (o il vaccinato, a seconda dei casi), l’omosessuale, la multinazionale, il politico e quant’altri. Qui faccio una meta-considerazione non avendo alcun interesse a portare posizioni di parte o ad aderire ad alcuna parte.

La rabbia, in tal modo, diventa un’arma che, molto spesso, l’informazione spettacolarizzata (più spettacolo che informazione) e i social cavalcano e alimentano. E’ molto più facile rendere le opinioni delle Verità di Parte piuttosto che cercare parti di verità in ogni opinione e tentare un dialogo per costruire “giudizio storico”. Ecco, rispetto ai temi sopra richiamati, quelli che davvero cambiano la storia (e ogni nostra storia), c’è una trascuratezza sostanziale al posto della quale si scatena un dibattito superficiale e solo competitivo tra Opinioni-Verità. Ed è lasciando il vuoto intorno ai temi fondamentali che qualcuno lo riempie e se ne occupa: i progetti come il Grande Reset e/o i complotti dei quali si discute tra arrabbiati e delusi nascono dall’assenza della nostra responsabilità culturale e politica. E’ molto più comodo, infatti, lasciar fare a qualcuno per poi scatenarsi a criticarlo.

Se l’assenza di responsabilità è un tema perenne, e forse non del tutto risolvibile, ci sono momenti nella storia nei quali val bene esercitare un impegno adeguato. Quello che viviamo è uno di questi.

Per iniziare la ricerca, percorso del quale non vedo la fine, vorrei brevemente introdurre ciò che è, secondo me, un “progetto di civiltà”. Anzitutto, esso non è un progetto determinabile dall’inizio: è un processo complesso, sottolineando del progetto l’anima dinamica. Il “progetto di civiltà” è un cammino nel profondo della realtà, contraddittorio e incerto. E’ il tentativo di leggere le dinamiche del mondo “in progress” con l’occhio complesso, sistemico e critico.

Nel discutere un “progetto di civiltà” occorre avere la mente aperta e libera, capace di non escludere alcuno e alcunché dal proprio orizzonte di senso e di significato. Il male e il bene si com-penetrano in ciascuno di noi e nella realtà e, se le Opinioni non devono diventare Verità, ogni opinione va considerata e valorizzata laddove pone la possibilità di un confronto (anche aspro) e di un incontro per il dialogo.

Se un elemento decisivo del “progetto di civiltà” è la complessità, ne viene la tendenziale inclusione di ogni parte nel mosaico della storia. Siccome ogni particolare, nella realtà, non si integra perfettamente con ogni altro, con l’inclusione occorre operare mediazioni.

Le nostre società sono divise e sempre più disuguali. Ciò comporta esclusioni e prevaricazioni e, come alcuni sostengono, è il modello stesso che abbiamo impostato, e che non nasce con la pandemia, a porre le condizioni perché le divisioni e le disuguaglianze peggiorino. Se ci aggiungiamo il poco esercizio di responsabilità, di vivere responsabile, il gioco è fatto. Con inclusione e mediazione, una terza parola-chiave per un “progetto di civiltà” è coesione.

Circa trent’anni fa, con il crollo del muro di Berlino, il mondo ha cambiato equilibrio. E’ finito l’equilibrio bipolare.

Un dato che mi interessa portare nella ricerca è, a partire da quella grande speranza di libertà e di benessere per tutti, il punto in cui siamo oggi. Si pensava che la democrazia e il mercato avessero trionfato a livello globale; si pensava che sarebbe finita l’epoca dei muri; si pensava che il mondo si sarebbe pacificato. Tutti auspici che, forse esageratamente ottimistici allora, sono rimasti sostanzialmente tali.

Chi, come me, guarda a un “progetto di civiltà”, non può che essere realisticamente ottimista. E’ difficile, me ne rendo conto, ma è al contempo necessario: possiamo far tesoro degli errori commessi e provare, insieme, a fermarci per riflettere. Se, come si dice, con la pandemia nulla sarà più come prima, facciamo attenzione a che lo abbiamo detto, e scritto, tante altre volte: è davvero arrivato il tempo della responsabilità.

 

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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