Quando la politica parla a metà degli italiani è in ballo la sostanza della democrazia. Nessun esponente politico sembra domandarsi “quanto valga” il consenso della propria parte; se, come sempre accade, nelle competizioni elettorali qualcuno vince e qualcuno perde, la riflessione andrebbe fatta sulla quantità (che diventa qualità) del voto stesso.
E’ sempre più chiaro che metà del Bel Paese non crede più nella politica che conosciamo. Se tante sono le ragioni, il distacco è evidente, la separazione è data. Abbiamo costruito il mostro della “società civile”, come se quella non fosse politica; e, invece, è proprio la società civile che sta facendo politica versus la politica di apparato.
Qui non si discute di qualche parte in particolare ma della classe politica nel suo insieme. Prima di altri poteri, è l’astensione che erode progressivamente la dignità delle classi dirigenti, sempre più personali. Sulla realtà, in metamorfosi per fatti suoi, la politica non incide; sui grandi processi storici, si pensi alla rivoluzione tecnologica, la politica rincorre, non anticipa, tappa i buchi. Manca la visione e chi è dall’altra parte (sempre a causa della scellerata separazione di cui sopra) lo capisce: la società civile (termine che uso per invitare tutti a dimenticarlo) sceglie di fare politica astenendosi. Si dirà che questo è il venire meno a un dovere civico ed è vero: ma, in fondo, la democrazia è anche auto-organizzazione, partecipazione in molti modi.
Per voltare pagina non basta il PNRR. Ci vuole un pensiero adeguato ai tempi che stiamo vivendo. La realtà ci ammonisce, così come il silenzio assordante degli astenuti.