Dall’Homo sapiens al cosiddetto postumano. Alla base del movimento transumanista c’è la convinzione che il progresso tecnologico e scientifico rappresentino il meccanismo per il potenziamento delle capacità fisiche e cognitive dell’essere umano. I rischi di biohacking e per la privacy
Con il termine “Transumanesimo” indichiamo quella corrente culturale, particolarmente diffusa nel territorio della Silicon Valley, che auspica il passaggio dall’Homo sapiens al c.d. postumano. Alla base del movimento transumanista c’è la convinzione che il progresso tecnologico e scientifico rappresentino il meccanismo per il potenziamento delle capacità fisiche e cognitive dell’essere umano, il quale diverrebbe capace di superare i propri attuali limiti, sino a vincere persino l’invecchiamento e la stessa morte.
Indice degli argomenti:
Il Transumanesimo: l’upgrade dell’Homo Sapiens
Si tratta, quindi, di un nuovo step evolutivo, nell’ambito del quale l’essere umano non è più un semplice soggetto passivo dell’evoluzione stessa, ma è artefice di quest’ultima e ne veicola la direzione, intervenendo sul progresso tecnologico.
Sebbene la parola transumanesimo compaia per la prima volta negli anni Cinquanta, la nascita di questa ideologia, così come oggi la intendiamo, si è fatta strada a partire dagli anni ‘80, anche grazie al pensiero di uno dei suoi “padri fondatori”, Max More, che ha definito il transumanesimo come quella classe di filosofie che, tramite la tecnologia e la scienza, ricercano la continuazione e l’accelerazione dell’evoluzione di “una vita intelligente” al di là della sua forma umana e delle sue limitazioni.
L’ambizione finale del transumanesimo, quindi, è la realizzazione di un upgrade dell’Homo sapiens, nonché la progressiva liberazione dai limiti determinati dalla corporeità. Per realizzare questo scopo, è necessario il compimento di un processo di ibridizzazione delle caratteristiche e componenti biologiche umane con le macchine grazie alla tecnologia e alle nuove scienze come la biorobotica, la bioinformatica, la nanotecnologia e la neurofarmacologia.
Questo processo di ibridizzazione si può concretizzare nell’installazione di componenti artificiali e tecnologiche nel corpo biologico dell’essere umano al fine di potenziarlo sino a poter giungere, poi, alla completa sostituzione del corpo biologico con uno tecnologico. A sua volta, l’abbandono del corpo biologico potrebbe essere realizzabile attraverso il c.d. ‘mind uploading’, ossia attraverso lo scaricamento dei dati e delle informazioni della mente umana che finirebbero, poi, “caricati” su un supporto robotico. Si ipotizza, persino, di poter arrivare a caricare il cervello umano direttamente nel cloud.
Transumanesimo: la Alcor Life Extension Foundation
Tra le organizzazioni più importanti che, ad oggi, stanno lavorando per la realizzazione dell’upgrade dell’Homo sapiens, ricordiamo la Alcor Life Extension Foundation, la quale ha concentrato la propria ricerca sulla c.d. criostasi, nel tentativo di “combattere” la morte.
In sostanza, la Alcor, utilizzando dei cilindri pieni di azoto liquido, conserva i corpi o le teste di esseri umani defunti per poi “risvegliarli” (o “riportarli alla vita”) in un dato momento o per trasferire il cervello all’interno di un corpo artificiale o di un computer.
Dal transumanesimo ai cyborg
Il transumanesimo ci conduce, quindi, nell’era dei cosiddetti cyborg. Per quanto fantascientifica possa apparire questa affermazione, l’era dei cyborg non è poi così lontana dall’attuale realtà. I cyborg (o “organismi cibernetici”), infatti, non sono altro che esseri umani a cui vengono applicate o impiantate componenti meccaniche e tecnologiche. Facciamo degli esempi che ci facciano comprendere come, in realtà, i cyborg siano già fra noi.
In particolare, pensiamo agli elettrodi impiantati nel cervello dei malati di Parkinson per ridurre i sintomi motori debilitanti tipici della malattia, all’impianto cocleare (ovvero l’impianto di un orecchio artificiale elettronico in grado di ripristinare la percezione uditiva nelle persone con sordità profonda), al pacemaker impiantato nel torace (ovvero il dispositivo elettronico che consente di controllare le anomalie del ritmo cardiaco), all’esoscheletro (ovvero un apparecchio cibernetico esterno in grado di potenziare le capacità fisiche dell’utilizzatore che ne viene rivestito e che rappresenta una sorta di “muscolatura artificiale” molto utile, soprattutto, per migliore la qualità della vita di persone affette da gravi disabilità).
In tutti questi casi, quindi, siamo di fronte a esseri umani a cui vengono sostituite alcune parti biologiche oppure queste ultime vengono combinate ad apparecchiature artificiali, al fine di ripristinare il completo funzionamento dell’organismo o di potenziarlo.
Un altro esempio di tecnologia, in fase di sviluppo, idonea a renderci cyborg è quella della “Brain-computer interface” (c.d. BCI), che, sostanzialmente, mira a creare un canale di comunicazione diretto tra il cervello umano e i computer. In altri termini, lo scopo della BCI è quello di consentire la “comunicazione telepatica” con un dispositivo elettronico, circostanza che, ad esempio in campo medico, permetterebbe ad un disabile di guidare con la forza della mente la propria carrozzina.
Non è fantascienza. Proprio di recente, la società Neuralink è riuscita, grazie all’uso dell’omonimo dispositivo, a far giocare a Pong una scimmia con la sola forza del pensiero.
Ma pensiamo, altresì, al fatto che, ormai, l’essere umano utilizza la tecnologia, ivi incluse anche le soluzioni controllate da algoritmi di apprendimento automatico, per compiere la maggior parte delle attività quotidiane, come il farsi guidare, mediante un App, nella scelta del tragitto più consono per raggiungere una determinata destinazione. Oggi l’essere umano dipende, quasi in maniera viscerale, dalla tecnologia, la quale viene percepita come una componente di sé.
E se, proprio questa dipendenza, fosse già sufficiente a considerarci dei cyborg? Come ha affermato lo scrittore e giornalista irlandese Mark O’Connell nel suo libro “To be a machine“:
“Se non potete usare lo smartphone per una ragione qualsiasi – perché l’avete lasciato in un’altra giacca, o la batteria è scarica, o lo schermo si è rotto – cosa sentite? Lo strano formicolio di un arto fantasma? Non siamo, come si usa dire nel giro dei filosofi, già da sempre dei cyborg?”
La singolarità tecnologica
Il pensiero transumanista affonda le sue radici nella c.d. “singolarità tecnologica”, concetto elaborato dal matematico Vernor Vinge e descritto nel suo saggio “Technological Singularity” del 1993 in cui si afferma che “entro 30 anni avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana. Poco dopo l’era degli esseri umani finirà”.
Per singolarità tecnologica si intende il momento in cui il progresso tecnologico accelererà oltre la capacità di comprensione e previsione degli esseri umani. La singolarità tecnologica, che secondo alcuni futurologi si realizzerà già nel 2045 quando la capacità di calcolo dei computer supererà quella dei cervelli umani, costituisce un “corollario” del principio secondo cui l’evoluzione della tecnologica tende a seguire un processo esponenziale, così come definito dalla “Legge dei ritorni accelerati”. Secondo questa legge della futurologia, il tasso di progresso tecnologico è una funzione esponenziale e non lineare; in altri termini, ogni nuovo progresso rende possibili molteplici progressi di livello più elevato piuttosto che un singolo e unico progresso, con la conseguenza che ogni anno viene realizzato un maggior numero di invenzioni e scoperte utili rispetto all’anno precedente.
Kurzweil e la “legge dei ritorni accelerati”
La legge dei ritorni acceleranti, proposta dall’inventore e informatico Ray Kurzweil nel saggio “The Law of Accelerating Returns”, costituisce, in realtà, un ampliamento della “Legge di Moore” in base alla quale la complessità dei microcircuiti, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia periodicamente, ogni 18 mesi. Moore descrive un andamento esponenziale della crescita della complessità dei circuiti integrati; Kurzweil include in tale andamento di crescita anche le tecnologie precedenti ai circuiti integrati e ritiene che tale crescita esponenziale continuerà, in futuro, oltre l’utilizzo dei circuiti integrati con l’avvento di tecnologie che porteranno alla singolarità.
Secondo la visione di Kurzweil, sebbene l’incremento esponenziale delle prestazioni dei microchip abbia subito un rallentamento a partire dagli anni 2000, l’adozione di nuove tecnologie determina un punto di discontinuità nella curva esponenziale, da cui parte un nuovo andamento esponenziale.
Per buona parte dei futurologi, la singolarità tecnologica sarà raggiunta, in particolar modo, grazie all’intelligenza artificiale in quanto essa contribuirà all’implementazione delle nuove tecnologie emergenti in modo molto più rapido rispetto al passato, impattando, peraltro, sulla nostra comprensione di noi stessi in quanto esseri umani.
L’interfacciamento uomo-macchina
La conclusione che si trae dal presunto compimento della singolarità tecnologica è che, a fronte di una massiccia evoluzione della tecnologia e in particolare dell’intelligenza artificiale, l’essere umano sarà portato a “fondersi” con le macchine per non soccombere alle stesse.
In altri termini, il risultato della singolarità tecnologica sarà l’interfacciamento uomo-macchina.
L’obiettivo di creare un interfacciamento tra il cervello umano e le macchine è al centro dell’attività della già citata Neuralink Corporation che lavora a un dispositivo, impiantabile nel cervello umano e dotato di circa 1.024 microelettrodi collegati a un chip, anch’esso da impiantare nel cervello, capace di raccogliere i segnali registrati dai microelettrodi e trasmettere i dati raccolti fino a 10 metri, in modalità wireless. Il sistema, che consente di monitorare gli impulsi celebrali e di “predire”, grazie all’intelligenza artificiale, gli impulsi successivi a quelli rilevati, ambisce ad una sua applicazione in campo medico. Il dispositivo Neuralink, infatti, nasce con il principale scopo di consentire ai soggetti affetti da paralisi di utilizzare i dispositivi elettronici con la forza della mente.
Biohacking: l’hackeraggio dell’essere umano
Una manifestazione del pensiero transumanista è certamente rintracciabile nel c.d. biohacking che consiste, per l’appunto, nella pratica di modificare la chimica e la fisiologia umana mediante la scienza, la tecnologia e l’auto-sperimentazione, allo scopo di migliorarne e potenziarne prestazioni e capacità.
Si distinguono, in realtà, differenti branche del biohacking: da quelle più “soft”, che puntano al miglioramento del corpo e del cervello umano mediante specifiche diete e l’esercizio fisico, a quelle che contemplano l’uso di sostanze nootrope o prevedono l’impianto di dispositivi tecnologici, per finire a quelle che mirano alla modifica dello stesso DNA umano attraverso l’ingegneria genetica.
In tutti questi casi lo scopo comune è il medesimo: migliorare il corpo e il cervello umano.
Ad esempio, le sostanze nootrope (o “smart drugs”) sono sostanze naturali o di sintesi che, tipicamente, agiscono alterando i livelli neurochimici, di enzimi o di ormoni nel cervello, perfezionando le capacità cognitive e potenziando, quindi, l’attenzione, la memoria e la velocità di ragionamento e di apprendimento.
Per quanto la sperimentazione nel settore delle smart drugs sia particolarmente attiva, non ci risulta che, ad oggi, siano stati sintetizzati nootropi in grado di farci vivere come nel film “Limitless”, dove il protagonista, grazie all’assunzione di un farmaco sperimentale nootropo chiamato NZT, riesce a trasformarsi in un vero e proprio superuomo.
Trailer del film “Limitless”
Oggi esistono sostanze che ci consentono, persino, di vedere al buio. È questo il caso della Chlorin E6, una sostanza brevettata da un gruppo di studenti californiani per contrastare il fenomeno della cecità notturna. Versando nell’occhio alcune gocce del composto, è possibile identificare al buio oggetti entro un raggio di circa 50 metri.
Particolarmente diffusa nella “comunità dei biohacker”, poi, è la pratica dell’implanting, ovvero dell’impianto di dispostivi nel corpo umano, aspetto, questo, che ci riporta nuovamente al concetto di cyborg. Tipico è il caso dell’innesto sottopelle di chip RFID, che consentono di aprire porte, pagare merci e memorizzare informazioni di contatto o dell’impianto di piccoli magneti sottocutanei che permettono all’essere umano di sollevare oggetti metallici e addirittura di percepire i campi magnetici.
Transumanesimo: quali rischi per la privacy
Uno dei maggiori timori legati al transumanesimo e al biohacking riguarda la privacy che potrebbe rischiare di essere fortemente compromessa.
In linea generale, lo sviluppo delle nuove tecnologie rende molto complesso mantenere private le informazioni personali. Le tecnologie tipiche del pensiero transumanista sono ancor più invasive nella vita di ciascuno di noi proprio poiché mirano all’integrazione della macchina con il corpo e il cervello umano.
Ad esempio, l’impianto di una videocamera sostitutiva di un occhio umano rischia palesemente di ledere la privacy di tutti coloro che finiscano inconsapevolmente nel suo mirino.
Allo stesso modo, c’è da chiedersi, in caso di impianto di chip, dove e come vengano archiviate le relative informazioni e con quali misure di sicurezza vengano protette.
I rischi di cybercrime
I maggiori problemi, poi, si pongono quando entrino in gioco i dati relativi allo stato di salute, come quelli riguardanti la predisposizione genetica a determinate malattie che, come è facile ipotizzare, costituirebbero la principale mira di gruppi farmaceutici o di compagnie assicurative.
Parallelamente, si pone il problema degli attacchi informatici; il cybercrime, infatti, potrebbe “puntare” queste nuove tecnologie, non solo per rubare i dati personali della vittima designata, ma anche per commettere crimini, sfruttando le parti bioniche dei cyborg.
L’utilizzo di tutte queste nuove tecnologie, quindi, non potrà essere affidato al caso ma richiederà una più specifica regolamentazione.
Conclusioni
Ad ogni modo, la possibile svolta dell’Homo sapiens in cyborg non dovrebbe intimorirci.
Al di là dei profili puramente etici connessi al pensiero transumanista e alle pratiche di biohacking, sono due i fattori principali da prendere in considerazione per esprimere un giudizio di valore a loro proposito: in particolare, si deve prendere atto, da un lato, dell’esigenza, insita nella natura stessa dell’essere umano, di migliorarsi e, dall’altro, del costante e inarrestabile progredire della tecnologia, la quale sta acquisendo una sorta di “autoreferenzialità”.
Tenendo conto di questi due innegabili elementi, risulta chiaro, quindi, che l’essere umano, nella propria evoluzione, utilizzi la tecnologia e che la sua eventuale “trasformazione” in un ibrido uomo-macchina appaia come la più probabile e ovvia conseguenza di questo processo, scelto, del resto, dall’uomo stesso. Come sin da subito precisato, infatti, nell’ambito di questo nuovo step evolutivo, l’essere umano non è più un soggetto passivo, ma è artefice dell’evoluzione stessa in virtù del suo intervento sulla tecnologia.
Ignorare un processo evolutivo per la paura dell’ignoto, di certo, non ci aiuterà a meglio comprendere e gestire lo stesso. Invece, la consapevolezza del suo verificarsi può rappresentare il migliore strumento per evitare e prevenire eventuali rischi connessi al “mutamento” dell’essere umano.