(Carlo Rebecchi)
Il giorno dopo il voto del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu sulla risoluzione che chiede il “cessate il fuoco immediato” e la liberazione di tutti gli ostaggi, a Gaza nulla è cambiato. Ieri l’esercito israeliano ha proseguito come ogni giorno le operazioni militari, con nel mirino 60 obiettivi, ed in particolare le città di Khan Younès e Gaza. Nelle 24 ore, i morti palestinesi, quasi tutti civili, sono stati 81.
Il tentativo di giungere ad un cessate il fuoco non sarebbe comunque stato abbandonato e contatti sarebbero mantenuti attivi, a Doha, da Qatar, Egitto e Stati Uniti.
Dal 7 ottobre, secondo le autorità palestinesi, il bilancio totale dei bombardamenti israeliani è di 32.414 morti. Nei 174 giorni di guerra, i rapporti tra Israele e gli Stati Uniti, da sempre amici storici, sono crollati al livello più basso di sempre. Joe Biden e Benjamin Netanyahu non si parlano quasi più e, nelle poche telefonate dell’ultimo mese, sono volate parole grosse.
L’approvazione – per la prima volta con il via libera degli Stati Uniti, che si sono astenuti mentre in precedenza avevano sempre messo il veto – ha peggiorato ancor più le cose. Per reazione, un infuriato Netanyahu ha annullato la partenza per Washington di una delegazione di alto livello che era attesa dal presidente e dal segretario di stato Antony Blinken per discutere un piano alternativo all’attacco contro la città di Rafah annunciato dal primo ministro israeliano.
Secondo Martin Indyk , ex ambasciatore americano a Tel Aviv, l’ annullamento della visita della delegazione israeliana è stato una sorta di schiaffo al presidente Biden, che aveva sollecitato l’incontro. La delegazione doveva essere guidata da Ron Demer, che tiene per il governo di Israele i contatti con l’amministrazione Biden e con lo stesso presidente.
Secondo quasi tutti gli analisti è sempre più evidente che l’attuale “scontro” tra Biden e Netanyahu è dovuto in gran parte alle pressioni che si abbattono su di loro all’interno dei rispettivi Paesi.
Biden, che ha confermato dopo l’astensione che “la posizione degli Stati Uniti rispetto ad Israele non cambia”, è sotto attacco dal partito repubblicano e dal suo stesso partito per quella che viene definita la sua “eccessiva arrendevolezza” con Netanyahu per quanto riguarda l’alto numero delle vittime civili a Gaza e gli ostacoli posti da Israele all’arrivo di viveri ed aiuti nella Striscia; inoltre, non può “rompere” con Netanyahu per timore di perdere i voti degli elettori ebrei nelle presidenziali di novembre.
Quanto a Netanyahu è descritto in queste ore quasi come un “ostaggio” dei due partiti di estrema destra della coalizione che sostiene il suo governo. I loro leader, Ben-Gvir e Smotrich, accusano il premier israeliano di non essere abbastanza determinato nel combattere Hamas e nel sostenere nell’espansione degli insediamenti nella Cisgiordania occupata. Il New York Times sottolinea in proposito che se Ben-Gvir e Smotrich gli togliessero l’appoggio, il governo cadrebbe e si andrebbe ad elezioni anticipate.
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