(Marzia Giglioli)
La ricerca di nuovi paradigmi. Attraversare i confini e le identità per nuove mediazioni possibili. A colloquio con Domitilla Olivieri antropologa e studiosa di gender all’Università di Utrecht
La guerra è un indicatore della imperfezione dell”uomo, scriveva Kant. Più semplicemente, Chaplin, nel famoso monologo de ‘Il Grande dittatore’ – diceva: ‘In questo mondo c’è posto per tutti’.
Su queste pagine vorremmo affrontare i temi delle nuove guerre, delle nuove vittime, le divaricazioni crescenti tra le genealogie culturali, i terrorismi di genere, ricercandone una causa comune.
La nostra analisi su come arrivare a nuovi paradigmi per un profondo percorso di pace cammina sul filo sottile delle mediazioni possibili.
Difficile evitare ogni ombra di schieramento, ma altrettanto necessario è ragionare sulle cause prime dei processi che conducono allo scontro e ne moltiplicano altri in nome della ragione.
Con l’antropologa Domitilla Olivieri abbiamo cercato di ‘attraversare il concetto dei confini’ entro i quali si muove ogni azione e ogni reazione sia costruttiva che distruttiva.
Senza i confini, quelli costruiti per demarcare le differenze, probabilmente tutto sarebbe più facile.
Il confine è ineludibile in una logica di corretta applicazione, ma nello stesso tempo è causa prima anche delle ‘invenzioni’ divisive e delle conseguenti divaricazioni.
I confini possono essere considerati il virus della conflittualità?
Partirei dal ricordare quello che ha scritto Etienne Balibar: i confini sono espressamente legati al rafforzamento di identità specifiche. Sebbene la frontiera esista per demarcare aree geografiche del mondo esterno, le concezioni di identità vengono ‘interiorizzate’ dalle persone.
Questo significa che le identità rafforzano le divisioni al di là dei confini visibili?
Come ho scritto in un mio studio (in cui riprendo le tesi di Balibar) i confini cessano di essere realtà puramente esterne e diventano anche (e principalmente) confini interiori, frontiere invisibili. Così i confini cessano di essere semplicemente realtà esterne ma si situano dentro di noi.
Diventano così barriere ideologiche, di genere, divaricazioni culturali, incomprensioni permanenti …
L’unica via da seguire è quella di saper ‘attraversare’ i confini, attualizzare gli spazi e ridefinirli. Saper rendere presenti le esperienze, immaginare e rappresentare realtà invisibili ma possibili, aprire spazi di negoziazioni tra noi e gli altri. Servono nuove conoscenze per governare altre realtà e costruire nuovi immaginari. Nei confini si possono trovare spazi di nuove negoziazioni perché è qui che si trova la complessità delle nostre vite.
Nei confini si possono trovare nuove dimensioni di complessità?
Bisogna partire dall’interdipendenza tra noi e l’altro e guardare a nuove mediazioni. Intendendo la mediazione non come una mancanza di radicalità. O una perdita di ‘qualcosa’ ma come uno spazio di incontro tra esistenze.
Ma il confine spesso pare ineludibile e la mediazione diventa inattuabile
Le esistenze umane e sociali si sono sempre basate tra sé e l’altro da sé e sulle differenze. In questo senso il confine è ineludibile. Ma se il confine lo vediamo non come cesura tra sé e l’altro da sé (come diciamo noi antropologi) ma come punto di incontrò, come uno spazio in cui confluire, si può immaginarlo come un luogo in cui molte cose possono accadere. In cui le potenzialità sono ancora inesplorate e creare così forme di interazioni e di complessità.
Il confine non più come limite …
… Ma come ‘spazio’ per creare forme di alterità, dove si possano creare e concretizzare anche forme di nuova complessità politica. Bisogna ‘attraversare’ i confini, mettendosi anche in condizione di rischiare certezze consolidate per esporsi all’altro, ma si arriva a questi attraversamenti con posizionamenti, esperienze e prospettive diverse e non tutti rischiamo allo stesso modo. La violenza dell’incontro colpisce diversamente, per questo l’interdipendenza, la mediazione, l’incontro, non avvengono tra elementi uguali, ma devono tenere in loro anche le differenze di potere. In questo senso i confini (materiali o simbolici) possono essere spazi di mediazione, ma anche di pericolo, e possono essere spazi di incontro, spazi di potenzialitá solo se vissuti in un’ottica di apertura verso l’altro e verso i limiti di se stessi, di interdipendenza e coesistenza.
(English version)
The search for new paradigms. Crossing borders and identities for new possible mediations. In conversation with Domitilla Olivieri, anthropologist and gender scholar at the University of Utrecht
War is an indicator of the imperfection of man, wrote Kant. More simply, Chaplin, in the famous monologue of ‘The Great Dictator’ – said: ‘In this world there is room for everyone’. On these pages we would like to address the themes of new wars, new victims, the growing gaps between cultural genealogies, gender terrorism, seeking a common cause.
Our analysis on how to arrive at new paradigms for a profound path to peace walks the thin line of possible mediations. It is difficult to avoid any shadow of taking sides, but it is equally necessary to think about the primary causes of the processes that lead to conflict and multiply others in the name of reason. With the anthropologist Domitilla Olivieri we tried to ‘cross the concept of boundaries’ within which every action and every reaction, both constructive and destructive, moves. Without borders, those built to demarcate differences, everything would probably be easier. The border is unavoidable in a logic of correct application, but at the same time it is also the primary cause of divisive ‘inventions’ and the consequent divergence.
Can borders be considered the virus of conflict?
I would start by remembering what Etienne Balibar wrote: borders are expressly linked to the strengthening of specific identities. Although the border exists to demarcate geographic areas of the outside world, conceptions of identity are ‘internalized’ by people.
Does this mean that identities reinforce divisions across visible boundaries?
As I wrote in one of my studies (in which I take up Balibar’s theses) borders cease to be purely external realities and also become (and mainly) internal, invisible borders. Thus borders cease to be simply external realities but are located within us.
Thus they become ideological and gender barriers, cultural gaps, permanent misunderstandings…
The only way forward is to know how to ‘cross’ borders, update spaces and redefine them. Knowing how to make experiences present, imagine and represent invisible but possible realities, open spaces for negotiations between us and others. New knowledge is needed to govern other realities and build new imaginaries. Spaces for new negotiations can be found within borders because this is where the complexity of our lives lies.
Can new dimensions of complexity be found within borders?
We must start from the interdependence between ourselves and each other and look at new mediations. Understanding mediation not as a lack of radicality. Or a loss of ‘something’ but as a meeting space between existences.
But the border often seems unavoidable and mediation becomes unworkable
Human and social existences have always been based on the self and the other and on differences. In this sense the border is unavoidable. But if we see the border not as a caesura between the self and the other (as we anthropologists say) but as a meeting point, as a space in which to converge, we can imagine it as a place where many things can happen. In which the potential is still unexplored and thus create forms of interactions and complexity.
The border is no longer a limit…
… but as a ‘space’ to create forms of otherness, where forms of new political complexity can also be created and concretized. We need to ‘cross’ borders, also putting ourselves in a position to risk consolidated certainties to expose ourselves to others, but we arrive at these crossings with different positionings, experiences and perspectives and not all of us risk in the same way. The violence of the encounter affects differently, which is why interdependence, mediation, encounter do not occur between equal elements, but must also include differences in power. In this sense, borders (material or symbolic) can be spaces of mediation, but also of danger, and they can be meeting spaces, spaces of potential only if experienced from a perspective of openness towards others and towards the limits of oneself themselves, of interdependence and coexistence.
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