(Carlo Rebecchi)
Una partita a scacchi i cui protagonisti sono entrambi consapevoli di aver bisogno l’uno dell’altro e nello stesso tempo di poter essere vittime dell’altro. Ma, in ogni caso, troppo interconnessi per ignorarsi. Si presenta in questi termini, secondo qualificati osservatori, il ventiquattresimo vertice Cina – Unione europea del 7-8 dicembre a Pechino – tra il padrone di casa, il presidente Xi Jinping e Ursula Von der Leyen e Charles Michel, rispettivamente presidente della Commissione e del Consiglio dell’Unione europea.
Il summit sarà il primo in presenza dopo la pandemia di Covid-19 e in questa vigilia il clima è tutt’altro che disteso. La guerra in Ucraina e la nuova delicata crisi in Medio Oriente non paiono il miglior viatico per superare le diffidenze e le incertezze che un anno fa avevano spinto l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, a definire il vertice di allora un “dialogo tra sordi”.
Sembra quindi da escludere, per il momento, secondo Gabriele Manca dell’ISPI, che si possa arrivare, per il secondo anno consecutivo, ad una dichiarazione comune, per almeno una duplice serie di motivi. Da una parte il contesto internazionale, sempre più instabile e diviso, potenziale fonte di rischi imprevedibili. Dall’altra la rinnovata “politicizzazione” dei rapporti economici, che ne è la diretta conseguenza.
Dal vertice dello scorso anno, la Commissione ha infatti rafforzato la propria linea nei confronti della Cina presentando diverse misure per limitare il flusso di tecnologie sensibili verso la Cina ed avviato un’indagine anti-sovvenzioni sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi. Inoltre circolano indiscrezioni, riprese dagli analisti, che possano essere in arrivo nuove sanzioni, con restrizioni alle esportazioni verso alcune entità cinesi che sarebbero responsabili dell’invio alla Russia di prodotti a utilizzo civile ma impiegabili anche a livello militare.
La strategia di de-risking avviata dall’UE per ridurre la propria vulnerabilità rispetto alla Cina è evidente e se il dialogo Bruxelles-Pechino non si è spezzato è perché le due economie sono profondamente interconnesse. Le cifre dei rapporti commerciali sono lì a dimostrarlo: nel 2022 gli scambi bilaterali hanno toccato il nuovo livello record di 857 miliardi di euro (+23%), portando il deficit bilaterale dell’Ue ad un livello mai raggiunto prima: il 58% rispetto al 2021.
A tenere viva la linea di de-risking però non è tanto la quantità quanto la “stratetigità” dei beni in questione. Dei 157 prodotti strategici per cui l’Ue è considerata eccessivamente dipendente da attori esterni, il 52% – cioè più della metà – arriva dalla Cina. I settori più sensibili sono quelli farmaceutico, delle energie rinnovabili e degli elementi alla base della produzione della tecnologia green, come le terre rare e la loro raffinazione: il che fa sì che la transizione energetica europea poggia su basi ‘made in China’.
D’altra parte, è vero anche che lo sviluppo economico della Cina è fortemente legato all’ingresso sul mercato europeo. La Cina è quasi due volte dipendente dal mercato Ue per le sue esportazioni che viceversa (16% dell’export cinese arriva nell’Ue, solo il 9% di quello europeo va in Cina). Bruxelles, secondo i ricercatori dell’ISPI, può quindi sfruttare la necessità cinese di entrare sul mercato UE per esercitare una maggiore influenza su Pechino, che politicamente si sta invece allontanando sempre più in parallelo con la nascita di un mondo multipolare.
Nè Bruxelles né Pechino vogliono – e soprattutto possono – rompere. Come un segno di buona volontà in questa direzione è stato interpretata la recente decisione cinese di consentire dal primo dicembre scorso ai cittadini di cinque paesi europei (tra cui l’Italia) di recarsi in Cina senza bisogno di visto.
Positive anche le parole del portavoce del ministero degli esteri cinese Wang Wenbin, il quale ha dichiarato pochi giorni fa, il 4 dicembre, che Ue e Cina “sono partner e non avversari”, hanno “interesse comune a superare le divergenze”, a sviluppare le loro relazioni per “dare nuovo slancio all’economia mondiale” e “stabilizzare la situazione internazionale”.
(English version)
A chess game whose protagonists are both aware of needing each other and at the same time of being each other’s victims. But, in any case, too interconnected to ignore each other. According to qualified observers, the twenty-fourth China – European Union summit on 7-8 December in Beijing – between the host, President Xi Jinping and Ursula Von der Leyen and Charles Michel, respectively president of the Commission and of the Council of the European Union. The summit will be the first in person after the Covid-19 pandemic and on this eve the atmosphere is anything but relaxed. The war in Ukraine and the new delicate crisis in the Middle East do not appear to be the best way to overcome the mistrust and uncertainties that a year ago had driven the High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy of the EU, Josep Borrell, who defined the summit at the time as a “dialogue between the deaf”. It therefore seems to be excluded, for the moment, according to Gabriele Manca of ISPI, that we could arrive at a joint declaration for the second consecutive year, for at least a twofold series of reasons. On the one hand, the international context, increasingly unstable and divided, a potential source of unpredictable risks. On the other, the renewed “politicization” of economic relations, which is the direct consequence. Since last year’s summit, the Commission has strengthened its line towards China by presenting various measures to limit the flow of sensitive technologies to China and launched an anti-subsidy investigation into imports of Chinese electric vehicles. Furthermore, rumors are circulating, echoed by analysts, that new sanctions may be on the way, with restrictions on exports to some Chinese entities that would be responsible for sending products for civilian use to Russia that can also be used on a military level. The de-risking strategy launched by the EU to reduce its vulnerability to China is evident and if the Brussels-Beijing dialogue has not broken down it is because the two economies are deeply interconnected. The figures for trade relations prove it: in 2022 bilateral trade reached a new record level of 857 billion euros (+23%), bringing the EU’s bilateral deficit to a level never reached before: 58% compared to 2021. What keeps the de-risking line alive, however, is not so much the quantity but rather the “strategy” of the assets in question. Of the 157 strategic products for which the EU is considered excessively dependent on external actors, 52% – i.e. more than half – come from China. The most sensitive sectors are pharmaceuticals, renewable energy and the elements underlying the production of green technology, such as rare earths and their refining: which means that the European energy transition is based on ‘made in China’ foundations. On the other hand, it is also true that China’s economic development is strongly linked to entry into the European market. China is almost twice as dependent on the EU market for its exports as vice versa (16% of Chinese exports go to the EU, only 9% of European exports go to China). Brussels, according to ISPI researchers, can therefore exploit China’s need to enter the EU market to exercise greater influence on Beijing, which is instead moving further and further away politically in parallel with the birth of a multipolar world. Neither Brussels nor Beijing want – and above all can – break. The recent Chinese decision to allow citizens of five European countries (including Italy) to travel to China without the need for a visa from December 1st was interpreted as a sign of goodwill in this direction. Also positive were the words of the spokesperson for the Chinese Foreign Ministry Wang Wenbin, who declared a few days ago, on 4 December, that the EU and China “are partners and not adversaries”, have a “common interest in overcoming differences”, in developing their relations to “give new impetus to the world economy” and “stabilize the international situation”.
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