(Marco Emanuele)
Urliamo pace, ci mobilitiamo per la pace ma non affrontiamo il tema di fondo della violenza e del dominio. Serve un’educazione ‘sentimentale’.
Nel turbo-progresso, viviamo immersi nella pre-istoria della condizione umana: ogni giorno è sempre più evidente. La parola ‘pace’, giustamente agognata, non può essere ri-vendicata. Siamo ancora qui, intrappolati tra la furia bellicista e la furia pacifista, ciechi in entrambi i casi, urlanti. Siamo tutti ostaggi delle Verità dogmatiche.
Eppure pace, lasciandoci percorrere dal silenzio che la genera, evoca uno stato di mediazione e di dialogo per la relazione: uno stato di ri-flessione, nel quale ciascuno si ri-trovi in ogni altro e nella complessità della ‘Terra-Patria’. La vera pace, pertanto, non è urlata ma è profondo lavoro visionario di ri-cucitura dell’esistente nell’oltre. Se è fondamentale che tacciano le armi, ciò non è sufficientemente per avere la pace.
La pace matura solo laddove facciamo pace con il ‘sentimento’ della storia, unità della realtà, complessità-in-cammino. La pace non è temporanea sedazione dei nostri istinti brutali, siano essi nella guerra o nella violenza contro le donne o contro qualsivoglia essere umano o popolo: la pace, complessa in essenza, passa necessariamente attraverso un lungo e paziente di lavoro di ri-appropriazione in noi della complessità che siamo e che generiamo: in sostanza, fare pace significa danzare nel ‘chi diventiamo’. Senza escludere alcuno perché l’esclusione è già violenza, sopraffazione, guerra.
(English version)
We shout peace, we mobilize for peace but we do not address the underlying issue of violence and domination. We need a ‘sentimental’ education.
In turbo-progress, we live immersed in the pre-history of the human condition: every day it is more and more evident. The word ‘peace’, rightly desired, cannot be re-claimed. We are still here, trapped between the warlike fury and the pacifist fury, blind in both cases, screaming. We are all hostages of dogmatic Truths.
Yet peace, letting us be carried by the silence that generates it, evokes a state of mediation and dialogue for the relationship: a state of re-flection, in which each person finds himself in each other and in the complexity of the ‘Earth-Homeland’. True peace, therefore, is not shouted but is a profound visionary work of re-sewing what exists into the beyond. If it is essential that the weapons remain silent, this is not enough to have peace.
Peace matures only when we make peace with the ‘feeling’ of history, unity of reality, complexity-in-progress. Peace is not a temporary sedation of our brutal instincts, be in war or in violence against women or against any human being or people: peace, complex in essence, necessarily passes through a long and patient work of re-appropriation in us of the complexity that we are and that we generate: essentially, making peace means dancing in ‘who we become’. Without excluding anyone because exclusion is already violence, oppression, war.
(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)