(Marco Emanuele)
L’approccio multipolare è dinamico. Un focus decisivo riguarda il ruolo crescente, in termini strategici, del governo delle città (più o meno ‘mega’) e dei territori. Tale governo si lega inevitabilmente a quello della policrisi nella quale siamo immersi, dal climate change alle migrazioni.
Le città, sottolinea Carlo Ratti (La Stampa, 29 settembre 2023), mentre occupano il 3% della superficie della terra, sono responsabili del 75% delle emissioni e dell’80% dei consumi di energia. Il C40 è un’associazione che raccoglie 96 città che, insieme, rappresentano il 25% dell’economia globale.
I numeri parlano chiaro ma occorre costruire un ambiente geostrategico (‘multipolarity in complexity’) nel quale i contesti urbani rappresentino davvero, e concretamente, luoghi di elaborazione e di rilancio di strategie ‘glocali’ di sostenibilità sistemica. La crescente urbanizzazione è anche senso di dove sta andando (vuole andare o è costretta ad andare) l’umanità. Se le città vanno pensate allargando lo sguardo al territorio nel suo insieme (non è sostenibile una massiccia urbanizzazione che dimentichi le campagne), il dato è la loro importanza.
Dobbiamo seguire la tendenza all’urbanizzazione al contempo ripensando tutti i paradigmi che prima consideravamo o a livello di strategie globali o a livello di strategie nazionali e locali. Quella separazione non esiste più perché – dall’innovazione, alla climate action, alle sfide di salute pubblica, al governo delle migrazioni, all’integrazione e alla sicurezza – le città sono hub geostrategici.
Il discorso che si apre è di scenari complessi. Occorre lavorare sulla inter-in-dipendenza tra vita quotidiana dei cittadini e fenomeni planetari. I grandi temi globali diventano, nelle città, percorsi virtuosi o viziosi: si può creare resilienza o far accrescere la precarietà; si possono costruire spazi di dialogo o aumentare le conflittualità; si possono creare le condizioni di una democrazia effettiva o lasciare che la rappresentatività ‘si svuoti’ progressivamente. Tutto questo avviene nella città, quelle che – ancora oggi – consideriamo luoghi locali e non, invece, i nuovi luoghi della ‘glocalizzazione’.
Serve investire, anzitutto culturalmente, sulla rivoluzione tecnologica, accompagnando i processi per non aggravare il ‘divide’ tra chi può permettersi l’innovazione e chi no e, più in generale, per allentare la morsa di disuguaglianze che mettono in pericolo l’essenza stessa del ‘vivere insieme’. Ma è attraverso la rivoluzione tecnologica, e i suoi infiniti strumenti, che si possono ripensare le città come hub geostrategici: tutto ciò che fino a pochi anni fa sembrava futuribile, come i ‘gemelli digitali’, è oggi parte di politiche urbane e territoriali degne di questo nome.
La policrisi non aspetta e le città hanno la responsabilità, dentro un movimento per un nuovo realismo geostrategico (cui intendiamo contribuire, via pensiero complesso), di consolidare i nodi della rete di quel ‘mosaico-mondo’ che è il nostro futuro già presente.
(English version)
The multipolar approach is dynamic. A decisive focus concerns the growing role, in strategic terms, of the government of cities (more or less ‘mega’) and territories. Such government is inevitably linked to that of the polycrisis in which we are immersed, from climate change to migration.
Cities, Carlo Ratti points out (La Stampa, 29 September 2023), while they occupy 3% of the earth’s surface, are responsible for 75% of emissions and 80% of energy consumption. The C40 is an association that brings together 96 cities that together account for 25% of the global economy.
The numbers speak for themselves, but it is necessary to build a geostrategic environment (‘multipolarity in complexity’) in which urban contexts truly and concretely represent places where ‘glocal’ strategies of systemic sustainability can be elaborated and relaunched. Growing urbanisation is also a sense of where humanity is going (wants or is forced to go). If cities are to be thought of by looking at the territory as a whole (massive urbanisation that forgets the campaigns is not sustainable), the fact is their importance.
We must follow the trend of urbanisation at the same time as rethinking all the paradigms that we used to consider either at the level of global strategies or at the level of national and local strategies. That separation no longer exists because – from innovation, to climate action, to public health challenges, to migration government, to integration and security – cities are geostrategic hubs.
The discourse that opens up is one of complex scenarios. We need to work on the inter-in-dependence between citizens’ daily lives and planetary phenomena. The great global issues become, in the cities, virtuous or vicious paths: we can create resilience or increase precariousness; we can build spaces for dialogue or increase conflict; we can create the conditions for effective democracy or let representativeness progressively ’empty out’. All this takes place in the cities, those that – still today – we consider local places and not, instead, the new places of ‘glocalisation’.
We need to invest, first of all culturally, in the technological revolution, accompanying the processes so as not to aggravate the ‘divide’ between those who can afford innovation and those who cannot and, more generally, to loosen the grip of inequalities that endanger the very essence of ‘living together’. But it is through the technological revolution, and its infinite tools, that cities can be rethought as geostrategic hubs: everything that until a few years ago seemed futuristic, such as ‘digital twins’, is now part of urban and territorial policies worthy of the name.
Polycrisis does not wait and cities have the responsibility, within a movement for a new geostrategic realism (to which we intend to contribute, via complex thinking), to consolidate the nodes of the network of that ‘mosaic-world’ that is our already present future.
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