(di Anna Maria Cossiga)
Sì, li vediamo arrivare in massa. Massa pericolosa, forse vuole sostituire noi, bianchi occidentali; forse qualcuno li organizza per invaderci. Massa indistinta, dove l’individuo scompare, sfumature di pelli più scure, suoni sfocati di lingue diverse. L’indistinzione deindividualizza in una massa. Una massa aliena, nemmeno animale, contro cui la violenza, fisica, mentale, spirituale, non è poi così grave. E’ difficile provare empatia per una massa astratta.
Abdelmalek Sayad, sociologo franco-algerino, parlava di doppia assenza, per il migrante; che è al tempo stesso emigrato e immigrato. Doppia assenza perché non è più nel luogo da dove proviene e non è nemmeno in quello in cui arriva, misconosciuto com’è,;non più individuo ma massa.
E così, l’assenza diventa essenza: sei in quanto doppiamente assente.
Entrano illegalmente e, dunque, non rispettano le norme. Non rubano, non uccidono, ma entrano senza permesso, perciò vanno puniti. La legge è legge. Sayad scrive ancora che “la presenza dell’immigrato è sempre una presenza segnata dall’incompletezza, è colpevole in sé stessa”.
Ormai la massa è troppo grande, la razionalità statale deve trovare il modo di tenerla lontana, di non farla entrare. I nostri governanti, quelli che rappresentano noi, uomini e donne, italiani ed europei, bianchi e cristiani (Cristo stenta a riconoscerci come suoi) costruiscono muri e, chissà, schiereranno le navi per fermarli. Che cosa c’è di più razionale? Cosa di più funzionale per non turbare l’ordine? Ma ci sono anche quelli che riescono a entrare, le piccole masse che arrivano sui barchini di metallo e che, salvati (perché salvare li dobbiamo), creano la massa principale, che stipiamo nei centri di accoglienza (accoglienza?), in attesa di un rimpatrio minacciato che raramente avviene. Alcuni scappano, diventano davvero criminali. Forse qualcuno verrà riconosciuto come profugo, altri diventeranno nuovi schiavi nei campi di pomodori. Sino alla prossima “emergenza”, quando tutto si ripeterà di nuovo e le parole saranno le stesse. Caos e disordine, questo flusso di masse indistinte; dunque, insicurezza per la fortezza Europa. O America, o Australia: le fortezze sono tante.
Traiamo un sospiro di sollievo, noi che scriviamo ed ammoniamo, perché non siamo governanti e non dobbiamo prendere decisioni. Sapremmo prenderle meglio di loro? Forse dovrebbero lasciarci provare ed ascoltarci.
Il fatto è, che per loro, siamo buonisti e, dunque, non razionali. Se lo fossimo, ci accorgeremmo che le masse irregolari che invadono il nostro territorio non fanno il nostro interesse, non ci portano vantaggi (ne siamo sicuri?), portano il caos e, dunque, va trovata una soluzione razionale per ristabilire l’ordine. I passi per raggiungere l’obiettivo sono una sequenza logica conforme agli standard moderni: bloccare i flussi, anche pagando paesi autoritari perché la massa se la tengano a casa loro; emanare leggi sempre più restrittive, perché in fondo la massa non è che un’accozzaglia di individui “diversi” da noi, che necessitano di regole proprie. Non c’è niente di morale, in tutto questo, diciamo noi; ma la massa non ha diritto ad essere trattata secondo regole morali.
Essere morali non significa essere buoni, ma sapere che esistono azioni buone e cattive.
Non possiamo tenerli tutti qui. Sarà anche vero, ma molti datori di lavoro si lamentano perché nessuno lo accetta, il lavoro che offrono. Secondo i dati del Viminale, da gennaio ad oggi sono arrivati 123.863 migranti. Gli italiani sono circa 59 milioni. Qualche goccia in più nel mare. Sarebbe opportuno rifletterci. Forse si può trovare una soluzione razionale e morale.
Vediamo tutti le immagini di Lampedusa. Alcuni provano pena, altri rabbia. Poi spegniamo la televisione, e non li vediamo più. Scrive Zygmunt Bauman: “Essendo inestricabilmente legata alla prossimità umana, la morale sembra conformarsi alla legge della prossimità ottica. Essa appare grande quando è vicina all’occhio. Al crescere della distanza, la responsabilità verso gli altri si riduce, la dimensione morale dell’oggetto si sfoca, finché entrambe raggiungono il punto di fuga e spariscono alla vista”. Giorgia Meloni e Ursula Van der Layen potranno anche andare a Lampedusa, guardare i migranti, magari toccarli, ma non li vedranno, resteranno distanti e non sentiranno una responsabilità morale verso questi deindividuati in massa che sono solo un problema per gli stati e che razionalmente gli stati risolveranno. Li respingeranno e li rimpatrieranno, ma gli effetti saranno fuori dalla loro visuale, come le torture dei campi in Libia, la disumanità di quanto accade in Tunisia. Saranno lontani anche da altre visuali: da quella di coloro che stringono in braccio bambini appena salvati e dalla nostra, che scriviamo e ammoniamo. Quando l’occhio non vede, o non vede più, come afferma ancora Bauman, scompare l’originaria capacità umana “di regolare i rapporti reciproci sulla base della responsabilità morale”, ormai perduta e dimenticata.
Termino citando Lévy Strauss, che ha definito la società moderna antropoemetica, in contrapposizione a quelle “primitive” antropofagiche: loro divorano i propri avversari, noi li vomitiamo (separiamo, segreghiamo, espelliamo, escludiamo) (Bauman, Modernità e Olocausto, Il Mulino, 2010, nota 27, p.271). Il che non significa che, per accettarli, dobbiamo divorare i migranti. Chi ha orecchie per intendere, intenda.