Le nuove forme del male banale – The new forms of banal evil

Ricercare nella persistenza del male banale è tutt’altro che un atteggiamento antagonistico: si tratta, piuttosto, di calarsi profondamente, criticamente e politicamente, nei processi storici del tempo che viviamo.  Per questo serve il paradigma complessità.

Dire male banale, anziché evocare inutili fantasmi del passato, significa avere ben presente come il cambio di era nel quale siamo immersi rappresenti un unicum, per velocità e radicalità, nella storia umana. Ciò ci vincola a esercitare una responsabilità geostrategica, personale e collettiva, dall’alto e nel profondo.

Dall’alto, il male banale si vede nella rincorsa competitiva ed esasperata ad occupare il centro del mondo dopo la fine dell’equilibrio bipolare. Tutti i protagonisti della rincorsa, mossi più dalla realizzazione (pur legittima) di propri interessi che dalla preoccupazione politica per la sostenibilità sistemica, cercano (o vorrebbero ritrovare) un ruolo storico (centrale e determinante le sorti complessive) nella ricomposizione dei rapporti di potere in atto. Non importa che questo passi dalla riconfigurazione della globalizzazione, dalla de-dollarizzazione, dal controllo delle tecnologie ‘disruptive’ e delle catene di approvvigionamento, dalla conquista dello spazio o da qualcosa d’altro: ciò che conta è il potere, in trasformazione, sempre più liquido e sempre meno riconoscibile e controllabile dai cittadini.

Se, in logica di complessità, il centro del mondo è (soltanto) luogo di occupazione del potere in trasformazione, la vita vera – nel profondo –  scorre nelle periferie esistenziali. Lì, nei vari ambiti delle nostre esistenze, troviamo tutti gli effetti dei decenni a-politici che ci siamo lasciati alle spalle e, soprattutto, troviamo la tragica carenza di risposte alle grandi domande della storia. Le periferie esistenziali non sono necessariamente i luoghi della povertà materiale e del disagio ma sono i luoghi dell’incomprensione di dinamiche planetarie che, senza chiedere permesso, sono entrate nelle nostre case e continuano a stravolgere le certezze che eravamo abituati a vivere.

Un tema è chiaro. Società sempre più separate e sempre meno solidali, disuguaglianze crescenti in ambiti particolarmente sensibili come l’accesso alla sanità e all’istruzione, violenza crescente, progressiva erosione della classe media sono nuove forme del male banale. Ciò si accompagna a questioni apparentemente meno concrete come lo ‘svuotamento’ dei sistemi democratici (e la crisi de-generativa della rappresentanza), la crescente burocratizzazione di Stati che trovano legittimazione (illusoria) soltanto attraverso l’immunizzazione dall’esterno e l’innalzamento del livello di sicurezza.

La mappa delle nuove forme del male banale, attraverso l’approccio complesso, può aiutarci a comprendere la realtà che viviamo, a maturare giudizio storico e a immaginare, con visione politica, i percorsi del futuro già presente.

(English version)

Searching for the persistence of banal evil is not an antagonistic attitude: rather, it is a matter of descending deeply, critically and politically, into the historical processes of the times we live in. The complexity paradigm is needed for this.

Saying banal evil, rather than evoking useless ghosts of the past, means being aware of how the change of era in which we are immersed represents a unique event, in terms of speed and radicality, in human history. This binds us to exercise geostrategic responsibility, both personal and collective, from above and deep within.

From above, the banal evil is seen in the competitive and exasperated chase to occupy the centre of the world after the end of the bipolar equilibrium. All the protagonists of the chase, moved more by the realisation (albeit legitimate) of their own interests than by political concern for systemic sustainability, seek (or would like to find) a historical role (central and determining the overall fate) in the recomposition of the current power relations. It does not matter whether this comes through the reconfiguration of globalisation, de-dollarisation, the control of ‘disruptive’ technologies and supply chains, the conquest of space or something else: what matters is power, in transformation, increasingly liquid and less and less recognisable and controllable by citizens.

If, in the logic of complexity, the centre of the world is (only) the place of occupation of power in transformation, real life – deep down – flows in the existential peripheries. There, in the various spheres of our existences, we find all the effects of the a-political decades we have left behind and, above all, we find the tragic lack of answers to the great questions of history. The existential peripheries are not necessarily the places of material poverty and discomfort, but they are the places of incomprehension of planetary dynamics that, without asking permission, have entered our homes and continue to upset the certainties we were accustomed to experiencing.

One theme is clear. Increasingly separated societies with less and less solidarity, growing inequalities in particularly sensitive areas such as access to health and education, increasing violence, the progressive erosion of the middle class are new forms of the banal evil. This goes hand in hand with seemingly less concrete issues such as the ‘hollowing out’ of democratic systems (and the de-generative crisis of representation), the increasing bureaucratisation of States that only find (illusory) legitimacy through immunisation from the outside and the raising of the level of security.

The map of the new forms of banal evil, through the complex approach, can help us to understand the reality we live, to mature historical judgement and to imagine, with political vision, the paths of the future already present.

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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