Non possiamo negare il cambio di era nel quale siamo immersi. Da intellettuali sentiamo la responsabilità di cambiare via.
Gli appelli morali non sembrano più svolgere adeguatamente il proprio mestiere ma ciò che è peggio è la persistenza in grande stile del ‘male banale’. Sotto diverse forme, il ‘male banale’ è tra noi: esso non assume più le forme dei totalitarismi del ‘900 ma diventa un enorme problema culturale e, occorre sottolinearlo con forza, un ancora più grande problema politico e sociale. Anche il ‘male banale’ si è fatto liquido, come il potere, e penetra come l’acqua cattiva nei nostri spazi vitali.
La sfida della sostenibilità sistemica ci riguarda tutti, nessuno escluso. Checché ne pensino i ‘lineari’ di professione, solo il paradigma della complessità potrà aiutarci a uscire dalle secche pericolose nelle quali rischiamo di rimanere sempre più intrappolati. Oggi come oggi, infatti, il contesto planetario deve essere affrontato contemporaneamente dall’alto e nel profondo, ben capendo che ogni spazio di mondo ci riguarda. Sappiamo che è difficile, avendo problemi importanti a casa nostra, aprire il nostro sguardo ad altri mondi ma quella è la minima condizione necessaria per salvare anche i nostri piccoli (rispetto al mondo) interessi.
Oggi vediamo plasticamente i movimenti del ‘male banale’. Se, per sua liquidità, non riusciamo ad afferrarlo e ad affrontarlo chiamandolo per nome, ne possiamo osservare le conseguenze non più controllabili. Due movimenti del ‘male banale’ dovrebbero incoraggiarci a percorrere l’oltre: la non cultura delle semplificazioni e delle separazioni; la politica ridotta a tattica e guidata pressoché esclusivamente dai pur legittimi interessi nazionali e territoriali.
Ebbene, non possiamo più limitarci ad osservare. Se non vogliamo farlo per noi, dobbiamo farlo per chi è appena nato o sta per nascere.
Pensiamo che affrontare la realtà con gli occhi degli opposti estremismi (di chi, più o meno intensamente, nega la policrisi de-generativa in atto e di chi teorizza l’imminente fine di tutto) sia sbagliato e a-politico. Il ‘male banale’ è anche nella stanchezza di chi capisce che le posizioni radicalizzate rafforzano la stagnazione e non costruiscono orizzonti progettuali e che le scelte della sicurezza per la sicurezza, dell’emergenza e dell’immunizzazione a tutti i costi non sono politiche.
Siamo di fronte a un bivio non eludibile: la strada che abbiamo scelto, da questa ‘piccola voce’, è di lavorare per un nuovo pensiero geostrategico, complesso, critico, politico e libero. Per contribuire a cambiare via.
(English version)
We cannot deny the changing era in which we are immersed. As intellectuals, we feel a responsibility to change course.
Moral appeals no longer seem to do their job adequately, but what is worse is the persistence of ‘banal evil’ on a grand scale. In various forms, the ‘banal evil’ is among us: it no longer takes the form of the totalitarianisms of the 20th century but becomes a huge cultural problem and, it must be emphasised strongly, an even bigger political and social problem. Even ‘banal evil’ has become liquid, like power, and penetrates our living spaces like bad water.
The challenge of systemic sustainability concerns us all, no one excluded. Whatever the professional ‘linearists’ may think, only the paradigm of complexity will be able to help us get out of the dangerous shallows in which we risk becoming increasingly trapped. Today, in fact, the planetary context must be approached simultaneously from above and from deep within, understanding that every space of the world affects us. We know that it is difficult, having important problems at home, to open our gaze to other worlds, but that is the minimum necessary condition to save even our own small (compared to the world) interests.
Today we see the movements of ‘banal evil’ plastically. If, because of its liquidity, we are unable to grasp it and face it by calling it by name, we can observe its consequences that can no longer be controlled. Two movements of the ‘banal evil’ should encourage us to move beyond it: the non-culture of simplifications and separations; politics reduced to tactics and guided almost exclusively by the albeit legitimate national and territorial interests.
Well, we can no longer simply observe. If we don’t want to do it for ourselves, we must do it for those who have just been born or are about to be born.
We think that facing reality with the eyes of the opposing extremisms (of those who, more or less intensely, deny the ongoing de-generative polycrisis and of those who theorise the imminent end of everything) is wrong and a-political. The ‘banal evil’ is also in the weariness of those who understand that radicalised positions reinforce stagnation and do not build project horizons, and that the choices of security for security’s sake, of emergency and immunisation at all costs are not political.
We are at an inescapable crossroads: the path we have chosen, from this ‘small voice’, is to work for a new, complex, critical, political and free geostrategic thinking. To help change the way.