Camminare nel ciò-che-diventiamo non può essere programma pre-definito.
Il metodo complesso diventa bussola geostrategica, talento di costruzione dinamica di “giudizio storico”. Abbiamo bisogno di orientarci ma si tratta di un processo che fa i conti con l’estrema velocità e radicalità di ciò che accade.
L’uomo, ciascuno di noi, è al contempo generatore e de-generatore, ri-creatore e distruttore. Questo fondante elemento di complessità che portiamo dentro non può essere eluso perché l’uomo non può dirsi libero al di fuori dell’esercizio di una responsabilità che deriva dall’essere, egli stesso, colui che cura e colui che ignora, colui che include e colui che scarta, colui che coopera e colui che compete, colui che salva e colui che uccide.
Ciò di cui non abbiamo bisogno, particolarmente nel tempo che viviamo, è di un pensiero solo appiattito sul presente imminente così come di un pensiero distaccato dai rapporti di potere così come di un pensiero antagonista: in tutti tre i casi, infatti, si tratta di un pensiero dell’irrealtà.
Abbiamo bisogno, invece, di un pensiero complesso, critico e, per questo, libero. Dobbiamo diventare consapevoli del fatto che il presente imminente è un auto-inganno: per capire e per tentare di governare i processi non basta fotografarli e vivere dentro la fissità delle nostre certezze consolidate. Anche se le certezze sono necessarie per vivere, perché tutti cerchiamo qualche forma di garanzia (negli affetti, così come nel lavoro), non è radicalizzandole e dogmatizzandole che otteniamo libertà e liberazione. Allo stesso modo, dobbiamo diventare consapevoli del fatto che viviamo dentro una gigantesca ri-composizione (continua composizione) dei rapporti di potere: solo per il fatto di essere ciascuno “unico e irripetibile”, dunque differenti l’uno dall’altro, siamo soggetti portatori d’interessi particolari, spesso divergenti, e non eliminabili: la mediazione è necessaria. Infine, dobbiamo diventare consapevoli del fatto che l’antagonismo non paga: si combatte il potere “costituito”, spesso per una causa giusta, ma quell’atteggiamento nasconde il desiderio di costituire un altro potere in contrapposizione. La triplice consapevolezza qui descritta ci mostra come la strada da percorrere sia quella di un ri-entrare nella realtà e nelle sue complessità.
La progressiva ri-appropriazione della triplice consapevolezza in noi è un lavoro paziente e mai automatico né scontato. E’ forte, in comunità umane percorse da crescenti disuguaglianze e da una indifferenza “cattiva” e dentro una profonda megacrisi de-generativa (a cominciare dalla terza guerra mondiale “a pezzi” e dalla grave crisi ambientale), la tentazione di lasciarsi andare alla irresponsabilità, all’apatia o alla violenza: eppure, ben lo sappiamo, questa non è la soluzione. Si tratta, invece, del modo migliore per peggiorare le cose.
Dobbiamo camminare nel profondo di realtà. Sappiamo che è difficile perché, molto spesso, in quel cammino incontriamo la parte di noi che non vogliamo vedere, ma che ci appartiene, di una follia (si pensi alla guerra) che cancella il dialogo e che rappresenta la morte della politica (altro che la sua continuazione con altri mezzi). E, deve essere altrettanto chiaro, non stiamo teorizzando la pace dei buoni, valore fragile e a-storico.
Ci interroghiamo, da queste pagine e con l’umiltà che l’intellettuale dovrebbe avere di fronte al grande paradosso tra l’avanzamento lineare del progresso (si pensi alla valanga inarrestabile della rivoluzione tecnologica) e una condizione umana sempre più precaria, come si debba pensare e come di possa governare il cambio di era nel quale siamo immersi.
Nel “tutto costituito” che viviamo, e ben considerando gli importanti traguardi che l’attuale fase della globalizzazione ha portato nella vita di buona parte dell’umanità, siamo chiamati a ri-cercare la strada per giungere progressivamente a un quadro di sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi: ciò che non sembra essere, per ora, nell’agenda delle classi dirigenti.
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