Nel cambio di era che il mondo sta attraversando è molto importante focalizzare l’attenzione, e le politiche, su due grandi questioni sistemiche e strategiche: lo sviluppo umano integrale e la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi.
Abbiamo bisogno di un nuovo discorso pubblico. Il cambio di era, nei nodi irrisolti che costituiscono l’eredità della fine del mondo bipolare e del mancato governo politico dell’ultima fase della globalizzazione, è oggi caratterizzato dall’elemento decisivo della rivoluzione tecnologica. Paradossalmente, più il progresso avanza più le società evidenziano il radicamento nella linearità e nella nella separazione. Siamo dentro a fattori de-generativi concomitanti: i cambiamenti climatici, la guerra esistenziale (e “a pezzi”), la crescita delle disuguaglianze, il progressivo “svuotamento” delle democrazie liberali (“confinate” in Stati sempre più burocratici), la ricomposizione dei poteri in vista di un nuovo ordine mondiale. Ben considerando, con realismo, gli importanti risultati raggiunti dall’apertura della globalizzazione, il discorso pubblico di cui abbiamo bisogno non può che essere complesso.
Gli scenari che possiamo elaborare devono muovere contemporaneamente, e dinamicamente, dall’alto e nel profondo. Eppure, in questo contesto, notiamo un approccio a nostra valutazione profondamente sbagliato: quello della polarizzazione.
Un nuovo discorso pubblico deve accompagnare la formazione di classi dirigenti adeguate alla complessità che viviamo. Avanzamenti e arretramenti caratterizzano la realtà e nulla può più essere interpretato, e governato, fuori dalla complessità della realtà-che-è: nulla è più distaccato dal resto e le singole crisi de-generative si presentano a noi nella forma di una megacrisi de-generativa.
C’è una difficoltà oggettiva nel governare la crescente complessità nella quale siamo immersi. Il mare geopolitico nel quale dobbiamo nuotare ogni giorno, le cui conseguenze incidono pesantemente sulle condizioni di vita nei territori che abitiamo, deve diventare il luogo del nostro interesse prioritario: nulla di ciò che accade nasce all’interno dei nostri confini (peraltro sempre più porosi e non più “barriera” di sicurezza per l’esercizio pieno delle sovranità nazionali) e, dunque, la nostra capacità di controllo si è molto ridimensionata rispetto al mondo novecentesco, meno aperto rispetto all’attuale. Il problema di fondo è che, senza voler generalizzare, le soluzioni per il governo del cambio di era non riescono a percorrere le strade del futuro che già vive nel nostro presente.
(English version)
In the changing era the world is going through, it is very important to focus attention, and policies, on two major systemic and strategic issues: integral human development and the political-strategic sustainability of the world and worlds.
We need a new public discourse. The change of era, in the unresolved knots that are the legacy of the end of the bipolar world and the lack of political governance of the last phase of globalisation, is now characterised by the decisive element of the technological revolution. Paradoxically, the more progress advances, the more societies become entrenched in linearity and separation. We are in the midst of concomitant de-generative factors: climate change, existential warfare, the growth of inequalities, the progressive ’emptying’ of liberal democracies (‘confined’ in increasingly bureaucratic States), the recomposition of powers in view of a new world order. Realistically considering the important achievements of the opening up of globalisation, the public discourse we need can only be complex.
The scenarios we can develop must move simultaneously, and dynamically, from the top and from the bottom. Yet, in this context, we notice an approach that we consider deeply flawed: that of polarisation.
A new public discourse must accompany the formation of ruling classes appropriate to the complexity we experience. Advances and retreats characterise reality and nothing can be interpreted, and governed, outside the complexity of reality-that-is any longer: nothing is detached from the rest and de-generative crises present themselves to us in the form of a de-generative megacrisis.
There is an objective difficulty in governing the growing complexity in which we are immersed. The geopolitical sea in which we have to swim every day, the consequences of which weigh heavily on the living conditions in the territories we inhabit, must become the place of our overriding interest: nothing that happens arises within our borders (which are, moreover, increasingly porous and no longer a security ‘barrier’ for the full exercise of national sovereignty) and, therefore, our ability to control them has been greatly reduced compared to the twentieth-century world, which was less open than today. The basic problem is that, without wishing to generalise, the solutions for governing the change of era fail to tread the paths of the future that already lives in our present.