Il dramma del dibattito pubblico sulle migrazioni è che tutti hanno una parte di ragione. Condividiamo, di fronte a ciò che continua ad accadere nelle acque del cimitero mediterraneo, l’invito a non speculare: ma, in Italia, la partitica è troppo ossessionata dal bisogno di contrapposizione e le speculazioni abbondano.
I morti, tutti i morti ci parlano. E ci invitano a non esprimerci banalmente: l’ultima cosa da fare, di fronte all’ennesima tragedia, è cercare un colpevole. Piuttosto, è l’ora di mettere in campo strategie complesse.
Le dinamiche che vivono nel profondo dei fenomeni migratori sono ben note, come le politiche necessarie. Accordi con i Paesi di partenza, governo delle diverse rotte, aiuti in loco, regole e sicurezza, e quant’altro: va tutto bene, è tutto giusto ma la realtà ci dice che la situazione sembra sfuggirci di mano. Due elementi sono, a nostro avviso, fondamentali: la strutturalità e la complessità del fenomeno.
Il Mediterraneo “allargato” e l’Africa sono le aree del mondo nelle quali ci giochiamo il futuro. Tutto vive lì, anche se le migrazioni sono un fatto planetario. Ma l’interesse dell’Europa, vecchia e lenta di fronte a una Storia tragicamente veloce, è di guardare a Sud, di pensarsi mediterranea. Lasciamo stare il passato, gli errori fatti e chi gli ha fatti: pensiamo, auto-criticamente, che se non c’è una seria iniziativa mediterranea europea, gli anni che verranno saranno ancora più difficili di quanto non lo siano oggi. E poi, diciamolo con franchezza, le divisioni partitiche, i ragionamenti fragilissimi dal sapore antagonistico saranno spazzati via come l’ultima barca di disperati tra le onde.
Sappiamo che governare questo fenomeno è estremamente difficile. Sappiamo anche, però, che tale difficoltà è aumentata dall’assenza di un pensiero strategico, complesso e politico sul tema. I governi nazionali, primo fra tutti l’Italia, di fronte alle migrazioni dovrebbero fare un doppio ragionamento: prendere atto, finalmente, che i confini valgono poco meno di nulla di fronte alla strutturalità delle migrazioni; l’Italia ha la straordinaria occasione, nella mediazione degli interessi nazionali, di lavorare perché l’Europa abbia un futuro. Infatti, è proprio sul governo delle migrazioni che il nostro continente continuerà a esistere o perirà.
Il cimitero mediterraneo non è solo un monito per il senso di umanità ma è anche un richiamo pesante, e potentissimo, per la politica che non c’è.
(English version)
The drama of the public debate on migrations is that everyone is partly right. We share, in the face of what continues to happen in the waters of the Mediterranean cemetery, the invitation not to speculate: but, in Italy, the party system is too obsessed with the need for confrontation and speculation abounds.
The dead, all the dead speak to us. And they invite us not to express ourselves trivially: the last thing to do, in the face of yet another tragedy, is to look for a guilty party. Rather, it is time to deploy complex strategies.
The dynamics at the heart of migratory phenomena are well known, as are the necessary policies. Agreements with the countries of departure, governance of the various routes, aid on the ground, rules and security, and so on: it’s all well and good, it’s all right, but reality tells us that the situation seems to be getting out of hand. Two elements are, in our opinion, fundamental: the structural nature and the complexity of the phenomenon.
The ‘enlarged’ Mediterranean and Africa are the areas of the world in which we are gambling our future. Everything lives there, even if migration is a planetary fact. But the interest of Europe, old and slow in the face of a tragically fast-moving History, is to look South, to think of itself as Mediterranean. Let us forget the past, the mistakes made and who made them: let us think, self-critically, that if there is no serious European Mediterranean initiative, the years to come will be even more difficult than they are today. And then, let us be frank, party divisions, fragile reasoning with an antagonistic flavour will be swept away like the last boat of desperate people in the waves.
We know that governing this phenomenon is extremely difficult. We also know, however, that this difficulty is increased by the absence of strategic, complex and political thinking on the subject. National governments, first and foremost Italy, faced with migrations should do a double think: finally acknowledge that borders are worth little less than nothing in the face of the structural nature of migrations; Italy has an extraordinary opportunity, in the mediation of national interests, to work so that Europe has a future. Indeed, it is precisely on the governance of migrations that our continent will continue to exist or perish.
The Mediterranean cemetery is not only a warning for the sense of humanity but also a heavy, and very powerful, reminder for the politics that are not there.