Il progressivo recupero della relazione e della fiducia deve accompagnarsi a un paziente lavoro di auto-critica e di de-radicalizzazione delle reciproche certezze. Questo vale, nei termini della “diplomazia della complessità”, dall’alto e nel profondo, dall’esperienza quotidiana di ciascuno di noi fino alle relazioni internazionali.
Gli ultimi trent’anni, dalla fine dell’equilibrio bi-polare a oggi, ci mostrano le evidenti contraddizioni della Storia che, in quanto tale, non finisce. Quelle contraddizioni sono emerse prepotentemente. Ciò ci porta a dire come, nel tempo che viviamo, nessuno possa ergersi a Giudice della Storia. Altra cosa è difendere e sostenere, anche militarmente, le “resistenze” in giro per il mondo (naturalmente pensiamo a quella ucraina, la più illuminata dalle cronache). Ma, altrettanto, occorre domandarsi: “fino a quando ?”. I governanti continuano a ricercare un equilibrio che, a nostro avviso, risulta sempre più fragile. Cosi Scholz alla Conferenza di Monaco (ripreso da Matteo Turato per Formiche): Continueremo a mantenere l’equilibrio fra il migliore sostegno possibile all’Ucraina e l’evitare una escalation non voluta”.
Immaginare la pace come processo storico, e non come semplicistica assenza di guerra, pone il problema di elaborare giudizio storico. Laddove cresce la complessità, laddove il rapporto tra il tutto e le parti è sbilanciato e letto/governato in chiave esclusivamente lineare, laddove relazione e fiducia si sono erose dentro alle società nazionali e tra player a livello internazionale, what’s next ?
Decisivo è, in questa fase, operare un reset strategico non dimenticando, o accantonando nel “dietro le quinte” dell’ufficialità, ciò che è accaduto nei tre decenni che abbiamo alle spalle. Il problema di fondo, che ci comprende e ci supera, è la sostenibilità politico-strategica del mondo (che comprende, e va oltre, l’architettura di sicurezza). Con questa prospettiva dobbiamo fare i conti, oggi più che mai. Se è da conoscere e studiare il Munich Security Report 2023, documento base della Conferenza annuale, la nostra ricerca, di pensiero critico e complesso, considera decisivo uscire dalla traiettoria solo lineare, quella che ci porterebbe lungo la strada dell’inevitabile contrapposizione – e scontro – tra democrazie e autocrazie.
La guerra in Ucraina, dentro il quadro di una guerra mondiale a pezzi, ci dà l’evidenza di quanto ciò che accade in quel Paese da ormai un anno abbia lanciato un segnale chiaro rispetto alla necessità non più eludibile di cambiare strada: l’Ordine che conoscevamo non solo ha fatto il suo tempo ma non potrà più tornare. Scrive Edgar Morin (Di guerra in guerra, Raffaello Cortina Editore 2023, p. 103): L’urgenza è grande: questa guerra provoca una crisi considerevole che aggrava e aggraverà tutte le altre enormi crisi del secolo subite dall’umanità, come la crisi ecologica, la crisi economica, la crisi delle civiltà, la crisi del pensiero. Che a loro volta aggravano e aggraveranno la crisi e i mali nati da questa guerra.
Perseguire la sostenibilità politico-strategica del mondo chiede, inevitabilmente, un dialogo complesso, in grave di svilupparsi al contempo come dialogo dialettico e come dialogo dialogale. Torneremo su questo.
Intanto, val bene notare come i fora globali di grande interesse strategico risultino sempre meno in grado di calarsi nella complessità e nelle complessità del tempo storico. Il think tank ISPI (17 febbraio 2023), in una analisi sulla Conferenza di Monaco, riporta la dichiarazione di un importante diplomatico tedesco: Non può semplicemente diventare una camera dell’eco, non puoi parlare solo con le persone con cui vai d’accordo.