Ri-congiungere ciò che è disperso. Questo è l’obiettivo della “diplomazia della complessità” qui evocata.
Tale ri-congiunzione non può che avvenire nel rapporto complesso tra il tutto e le parti, geostrategicamente tra l’evoluzione dei contesti nazionali e il quadro globale. Complessità è questo, maturare un pensiero pragmatico per governare tale rapporto. Complessità è, anzitutto, comprendere che solo in quel rapporto possono istituirsi prospettive di sostenibilità politico-strategica.
I più sembrano o trascurare l’impatto che le dinamiche planetarie generano all’interno dei sistemi nazionali, dunque sulle nostre vite quotidiane, o pensare che sono esaltando le peculiarità nazionali si possa superare la trappola di una globalizzazione che tutto vorrebbe omologare e definire dall’alto (ovunque si trovi quell’alto, peraltro sempre più diffuso e sempre meno chiaro).
In tal modo, la sostenibilità politico-strategica del mondo e dei mondi viene messa a serio rischio. S’incontrano due ignoranze: il non capire che nulla nasce più a livello nazionale (che si parli di conseguenze della rivoluzione tecnologica, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici, delle trasformazioni del e nel mercato del lavoro, e via dicendo) e il non capire che il pensiero antagonista a nulla serve se non a esacerbare il profondo disagio, nella crescita delle disuguaglianze, che percorre le comunità umane (da qualsivoglia regime esse siano governate).
Come si vede, il tema è ben più ampio del semplicistico “democrazie vs autocrazie”. Il pensiero geostrategico dovrebbe uscire dalle secche di logiche separanti e solo competitive per aprirsi alla complessità e alle complessità del reale. Questo imporrebbe, naturalmente, uno straordinario stravolgimento dell’impianto che conosciamo.
L’espressione “diplomazia della complessità” ci aiuta a illuminare due elementi non più eludibili: quello della mediazione e del dialogo tra rapporti di potere (ri-pensando la natura stessa del potere); quello della visione politico-strategica, per immaginare nuovi bilanciamenti politici tra il tutto e le parti, guardando alla sostenibilità complessiva, e complessa, del mondo che abitiamo.
Per una “diplomazia della complessità”