Per chi, come noi, guarda a un “progetto di civiltà”, con l’umiltà del ricercatore che sa di affrontare un oceano molto esteso e non del tutto comprensibile, è di grande interesse un passaggio del sociologo francese Pierre Bordieu (Sullo Stato, Feltrinelli 2021, p. 26): Bisogna (…) rompere con le grandi teorie, così come si deve rompere con il senso comune e diffidare della comprensione immediata, in quanto più comprendo e meno comprendo. (…) Più comprendo, più devo diffidare, più è apparentemente semplice, più è probabilmente complesso.
Anzitutto, per affrontare la questione dello Stato, occorre approfondire criticamente, senza lasciarsi cullare in termini di ingenua acquiescenza e – allo stesso modo – senza “aggredire” antagonisticamente ciò che è costituito, il pensato.
Ancora Bordieu (op. cit., pp. 27-28): (…) lo Stato esercita un effetto di imposizione simbolica assolutamente privo di equivalenti in altri ambiti che tende a metterlo al riparo dal vaglio dell’interrogazione scientifica. Ciò che si potrebbe chiamare lo Stato stabilito, in vigore o in corso è quanto si stabilisce attraverso l’ordine simbolico che lo Stato instaura a livello sia oggettivo, nelle cose – per esempio, la divisione in discipline o in classi di età – sia soggettivo – nelle strutture mentali sotto forma di principi di divisione e visione o di sistemi di classificazione. Attraverso la doppia imposizione dell’ordine simbolico, lo Stato tende a fare percepire come ovvio e scontato un gran numero di pratiche e istituzioni.
Il nostro approccio ideal-pragmatico guarda allo “Stato stabilito” di Bordieu nel rapporto con l’evoluzione di realtà. Lavoriamo sull’incontro di due complessità: quella che Bordieu (op. cit., p. 28) così definisce in relazione allo Stato stabilito: Nel momento in cui si svolge una ricerca storica (…) si scopre che all’origine di ogni istituzione si colloca un complesso di discussioni laboriose assai difficile da portare alla luce nel presente; e quella, che richiamiamo costantemente in queste pagine, della realtà in radicale e velocissima evoluzione/involuzione soprattutto, ma non solo, in conseguenza della rivoluzione tecnologica. Ci domandiamo: come la complessità dello Stato stabilito si pone rispetto alla crescente complessità di ciò che accade ? Come lo Stato stabilito dovrebbe/potrebbe ri-formarsi per guardare, dall’alto e nel profondo, alle dinamicità del futuro già presente ?
Nota per il lettore: scriviamo di ri-forma e non di riforma dello Stato stabilito perché crediamo che lo Stato necessiti, per tendere progressivamente alla democraticità, di porsi continuamente le domande che vengono da una realtà che ha assunto contorni planetari e che, ci piaccia o no, ne problematizzata le certezze stabilite (potremmo dire, di una realtà che supera lo Stato e che lo trasforma dall’interno).
Bordieu scrive di una convincente “storia genetica dello Stato” (op. cit., pp. 28-29): Intraprendere la via di una storia genetica dello Stato (…) rappresenta il solo valido antidoto nei confronti dell’ “amnesia della genesi” che caratterizza ogni istituzione stabilizzata, dal momento che ogni istituzione, per affermarsi, deve promuovere l’oblio della propria genesi. Questo è necessario, aggiungiamo noi, per consentire un pensiero critico e per avviarci sulla strada complessa della “ri-forma” dello Stato stesso. Il ritorno all’incertezza legata alle origini, alla disponibilità di possibili che caratterizza i cominciamenti, è fondamentale per debanalizzare, scrive Bordieu (op. cit., p. 29). Ed è altresì fondamentale per de-burocratizzare e, dunque, per de-radicalizzare. Verso uno Stato che non ha paura della complessità ma che la considera processo istituente e ri-formatore della sua essenza come entità vitale e progettante.
La riflessione continua …