Complexity and risk in the perspective of glocalisation – Regaining the political vision

Regaining the political vision

We think of glocalisation as the new frontier of globalisation. Everything needs to be rethought, starting with the political vision.

For too many years we have lived under the illusion that it was enough to say democracy and market for history to end and the world to enter a state of guaranteed prosperity.

Reality, ever more complex, has taken its revenge. History has returned and its natural uncertainty has become a storm that threatens to engulf us today. We see it in the ‘world war in pieces’ (an even nastier, nuclear war), in the progressive ’emptying’ of representative democracies, in the de-generative megacrisis in which we are immersed. We see it every day in the growth of inequalities and in separations that make us realise how the current globalisation model has reached the point of necessary rethinking.

Regaining political vision means coming back to reality. Having largely overlooked the potentially tragic consequences of insisting on our unproblematic certainties, we are now at a crossroads: continue with this model of political unsustainability or change course.

National systems alone cannot cope with and govern the dynamics that the world shows us. Regaining the political vision, in a complex-critical-systemic vision, means making some clear points. Governing, today, calls for ruling classes capable of understanding complexity and complexities, capable of not separating the destiny of the world from the destinies of worlds, capable of creatively imagining new ‘glocalised’ architectures.

A very relevant issue in terms of political vision is the incosistence of borders and, at the same time, the growing importance of  ‘places of the living’.

Especially in the cyber era, global flows find no obstacle at the borders of states and enter with power and overbearingness: the analyses showing us the ways of penetration and the consequent damage are well established. The inconsistency of borders does not only concern cyber flows but all the planetary dynamics that, as a consequence of the de-generational megacrisis, condition the social, economic, labour market, legal and cultural systems of individual countries. It is no longer borders that determine and define the ‘inside’ and the ‘outside’ because those dimensions no longer exist. The absence of those dimensions, however, cannot remain ungoverned. This has been the strategic mistake made by the ruling classes in recent decades.

Regaining the political vision means understanding the inconsistency of borders but working strategically in the ‘places of the living’. The nationalities, with their portfolios of identities, traditions, welfare states, development prospects, interests, cannot be humiliated. Because, as history teaches us, nationalities themselves make their own demands strongly and risk radicalising them dangerously.

In the ‘places of the living’, the mediation-negotiation-vision process must mature, aimed at understanding the transformations that occur in the passage of global phenomena in the territories, the effects that may arise on the life of national communities and the immunisation tools that must be adopted.

In order for the centrality of the ‘places of the living’ not to be seen as the expression of a ‘selfish sovereignty’, they must be linked to the realistic re-founding of the idea of an ‘open society’. And this only becomes possible by adopting new geostrategic frameworks.

Refounding the political vision binds us to ‘glocal’ reasoning. Power relations at the international level are changing abruptly, and we believe that the time has come to seize the historic opportunity to contribute to scenarios of true sustainability. Here we use the word in a complex sense, understanding it in a political-strategic key.

The ‘places of the living’ call for political government that breaks out of outdated logics. How do we resolve the issues of an ever-changing security, a welfare state and development that must find new paths to realise themselves and to guarantee dignity to work, freedom of enterprise and the well-being of families and communities? Can we do all this without the use of appropriate technologies ? How is the governance of cities and territories changing, also thanks to geospatial technologies ?

It is only within the ‘places of the living’ that the geostrategic discourse on glocalisation can begin.

Today, it is the globalised framework that is compromised. We need an adequate political vision that is born in the reality that evolves/involves in the ‘places of the living’. The re-appropriation of reality, which much of politics and the ruling classes have forgotten, generating an irreversible crisis of elites, is a fundamental point for a glocal restart.

Italian version

Riprendere la visione politica

Pensiamo la glocalizzazione come la nuova frontiera della globalizzazione. Tutto va ripensato, a cominciare dalla visione politica.

Per troppi anni abbiamo vissuto nell’illusione che bastasse dire democrazia e mercato perché la storia finisse e il mondo entrasse in uno stato di benessere garantito.

La realtà, sempre più complessa, si è vendicata. La storia è tornata e la sua naturale incertezza è diventata una tempesta che oggi rischia di travolgerci. Lo vediamo nella “guerra mondiale a pezzi” (guerra ancora più cattiva, a sfondo nucleare), nel progressivo “svuotamento” delle democrazie rappresentative, nella megacrisi de-generativa nella quale siamo immersi. Lo vediamo ogni giorno nella crescita delle disuguaglianze e in separazioni che ci fanno capire come l’attuale modello di globalizzazione sia giunto al punto di un necessario ripensamento.

Riprendere la visione politica significa rientrare nella realtà. Dopo aver ampiamente trascurato le conseguenze potenzialmente tragiche dell’insistenza sulle nostre certezze non problematizzate, oggi siamo a un bivio: continuare con questo modello di insostenibilità politica o cambiare via.

I sistemi nazionali non ce la fanno da soli ad affrontare e governare le dinamiche che il mondo ci mostra. Riprendere la visione politica, in una visione complessa-critica-sistemica, significa porre alcuni punti chiari. Governare, oggi, chiede classi dirigenti in grado di comprendere la complessità e le complessità, in grado di non separare il destino del mondo dai destini dei mondi, capaci di immaginare creativamente nuove architetture “glocalizzate”.

Un tema assai rilevante in termini di visione politica è l’incosistenza dei confini e, al contempo, la crescente importanza dei “luoghi del vivente”.

Soprattutto nell’epoca cyber, i flussi globali non trovano alcun ostacolo ai confini degli stati ed entrano con potenza e prepotenza: le analisi che ci mostrano i modi di penetrazione e i danni conseguenti sono ormai consolidate. L’incosistenza dei confini non riguarda solo i flussi cyber ma tutte le dinamiche planetarie che, in conseguenza della megacrisi de-generativa, condizionano i sistemi sociali, economici, dei mercati del lavoro,  giuridici e culturali dei singoli paesi. Non sono più i confini a determinare e a definire il “dentro” e il “fuori” perché non ci sono più quelle dimensioni. L’ assenza di tali dimensioni, però, non può rimanere ingovernata. Questo è stato l’errore strategico compiuto dalle classi dirigenti negli ultimi decenni.

Riprendere la visione politica significa capire l’incosistenza dei confini ma lavorare strategicamente nei “luoghi del vivente”. Le nazionalità, con il loro portato di identità, tradizioni, welfare state, prospettive di sviluppo, interessi, non possono essere umiliate. Perché, come la storia insegna, le stesse nazionalità pongono fortemente le proprie istanze rischiando di radicalizzarle pericolosamente.

Nei “luoghi del vivente” deve maturare il processo di mediazione-negoziato-visione finalizzato a comprendere le trasformazioni che si verificano nel passaggio dei fenomeni globali nei territori, gli effetti che possono derivare sulla vita delle comunità nazionali e gli strumenti di immunizzazione che occorre adottare.

Affinché la centralità dei “luoghi del vivente” non sia vista come l’espressione di un “sovranismo egoista”, occorre legarli alla realistica rifondazione dell’idea di “società aperta”. E questo diventa possibile solo adottando nuovi quadri geostrategici.

Riprendere la visione politica vincola a ragionamenti “glocali”. Stanno cambiando repentinamente i rapporti di potere a livello internazionale e crediamo che sia venuto il tempo di cogliere l’occasione storica di contribuire a elaborare scenari di vera sostenibilità. Qui utilizziamo la parola in senso complesso, intendendola in chiave politico-strategica.

I “luoghi del vivente” chiedono un governo politico che esca da logiche ormai inattuali. Come risolviamo i temi di una sicurezza che cambia continuamente forma, di un welfare state e di uno sviluppo che devono trovare nuovi percorsi per realizzarsi e per garantire dignità al lavoro, alla libertà d’impresa e al benessere delle famiglie e delle comunità ? Possiamo fare tutto questo senza l’utilizzo di tecnologie adeguate ? Come cambia, anche grazie alle tecnologie geospaziali, il governo delle città e dei territori ?

E’ solo dentro i “luoghi del vivente” che può avviarsi il discorso geostrategico sulla glocalizzazione.

Oggi è il quadro globalizzato a essere compromesso. Serve una visione politica adeguata che nasca nella realtà che evolve/involve nei “luoghi del vivente”. La ri-appropriazione della realtà, che buona parte della politica e delle classi dirigenti ha dimenticando generando una irreversibile crisi delle élites, è punto di partenza fondamentale per una ripartenza glocale.

 

 

 

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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