La politica perduta

Qualcuno potrebbe dire che in giro c’è troppa politica. La nostra convinzione è opposta: viviamo in un mondo a-politico. Pensiamo che il pensiero politico non si sia adeguato al nuovo mondo che emergeva dopo il crollo del muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica.

Finiti i partiti classici che, pur se inquadrati in un mondo completamente diverso dall’attuale, avevano capacità di elaborazione culturale ed erano impegnati nella formazione di classi dirigenti, la partitica si è trasformata o in strutture personali legate alla figura del leader o in comitati d’affari. Le comunità politiche, senza voler generalizzare, non funzionano più come reale punto di contatto tra le istanze delle persone nei territori e la decisione strategica. A ciò si aggiunga che, almeno in Italia, dopo anni passati a invocare la semplificazione partitica, i partiti, come i leader, si sono moltiplicati. Come l’astensionismo. Con l’imporsi della rivoluzione tecnologica, infine, i partiti sono diventati ancora più liquidi e si soddisfano di messaggi superficiali riducendo molto spesso i contenuti a slogan. Si sta realizzando, non da oggi e secondo noi tragicamente, il sacrificio della politica.

Il pensiero politico non si adegua dinamicamente alla compresenza delle dinamiche di realtà. Ne citiamo alcune: le crescenti disuguaglianze, il disagio e la coesione sociale che minano nel profondo, non da oggi, l’essenza delle democrazie liberali; la questione demografica che trasforma le società e che problematizza, con l’innalzamento dell’età, l’architettura del welfare state che conosciamo; la rivoluzione tecnologica, ciò che davvero trasforma (portando grandi opportunità e altrettanti rischi) le nostre vite personali, la struttura degli Stati e le relazioni internazionali; i cambiamenti climatici che si legano alla sopravvivenza dell’umanità e del pianeta e alle questioni della salute globale; la metamorfosi del rischio, sempre più impalpabile e sempre meno prevedibile.

Tutto questo ci travolge, entrando nei singoli Stati con una potenza inarrestabile. Le frontiere che occorre abitare culturalmente e politicamente sono i punti di passaggio tra i territori e il mondo. Con la pandemia, ma era già chiaro prima (per chi avesse voluto vedere), abbiamo assistito alla fine dei confini; essi, infatti, risultano a oggi per lo meno anacronistici. Eppure vengono utilizzati da una partitica a-politica come strumenti di lotta intorno ai quali costruire scenari di società. Nessuno, invece, si occupa del mancato governo politico della transizione globale-locale.

In questo anello mancante vive la grande contraddizione della globalizzazione. Abbiamo costruito un sistema-mondo socialmente, economicamente e politicamente insostenibile. Questo dovrebbe essere l’oggetto di un pensiero strategico adeguato ai tempi che viviamo: come ritrovare l’anello politico mancante in una globalizzazione insostenibile. La nostra proposta è di guardare alla prospettiva della glocalizzazione.

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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