Africa, in grande spolvero il mercato dei droni / Africa, the drone market is booming

(Carlo Rebecchi)

Non sono soltanto le ricchezze minerarie (metalli preziosi, diamanti) e neppure le ‘terre rare’ di cui è ricca, a spiegare l’interesse del mondo, grandi potenze in testa, che scoprono, o riscoprono l’Africa. Negli ultimi anni il Continente Nero è diventato infatti un ‘mercato’ estremamente allettante per i fabbricanti di armi, in particolare per i Paesi che producono e vendono gli ‘Unmanned Aerial Vehicle’, gli UAV, cioè i droni. Secondo il quotidiano francese ‘Le Monde’, a contendersi il mercato africano – davanti ai risultati spettacolari ottenuti dall’ Ucraina contro la Russia – sarebbero soprattutto Cina, Russia, Turchia e Israele. Con il rischio che questi droni, versione quasi ‘tascabile’ di armi ancora più potenti, possano finire nelle mani di organizzazioni terroristiche o ‘Stati canaglia’.

Nel 2021, al termine di un viaggio in compiuto nel 2021 in alcuni Paesi africani, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dichiarò che ovunque era stato ‘tutti mi parlano di droni!’ Sarà un caso, ma i tre i Paesi da lui visitati (Togo, Angola, Nigeria) sono entrati nei mesi successivi nel ‘club’ degli Stati che si sono dotati di droni da combattimento turchi, per l’esattezza dei modelli Aksungur e Bayraktar TB2. Un drone, il secondo, capace di volare per 27 ore in un raggio di 150 km con, a bordo, quattro missili a guida laser. Oggi 21 Stati africani dispongono di droni; nove sono quelli che hanno a disposizione droni armati. E, secondo molti esperti, il Bayraktar TB2 è il drone che tutti gli eserciti africani vorrebbero, in aperta concorrenza con i cinesi Wing Loong e CH4. Cifre ufficiali non ce ne sono, ma almeno una decina di Stati africani ne hanno comperati in quantità. I droni hanno infatti prezzi ‘abbordabili’, i più cari costerebbero circa tre milioni di euro, sei volte meno degli equivalenti americani. E quelli per la ricognizione addirittura meno di un milione. Anche le condizioni di acquisto sono agevoli. I ricercatori ed esperti interrogati da Le Monde sostengono infatti che, vendendo i loro droni ai Paesi africani, i costruttori non mirano a un guadagno immediato, ma a rafforzare con i loro interlocutori rapporti di amicizia in una prospettiva politico-economica a lungo termine.

L’obiettivo primario della Turchia sarebbe di ristabilire rapporti culturali con molti Paesi che, in passato, furono parte del Califfato; utilizzando i droni ‘come porta d’ingresso’. L’interesse principale della Cina sarebbe di allacciare o rendere più profonda una presenza commerciale che le permetta di non perdere di vista quanto accade attorno alle grandi linee di comunicazione marittima attraverso le quali esporta le proprie merci in Europa. Anche la Russia, che è stata del resto presente in Africa con un sostegno anche diretto ai movimenti di liberazione negli Stati che hanno portato alla decolonizzazione, avrebbe interessi soprattutto politici.

E’ un fatto che il mercato africano è più che mai allettante per i produttori di UAV, un tipo d’arma che si sta dimostrando ogni giorno la più efficace per il tipo di conflitti in atto sul continente – la maggior parte di intensità medio bassa – e per il numero: in Africa sono in atto almeno la metà degli oltre 400 che vengono combattuti nel mondo. La guerra in Somalia dura addirittura da 24 anni. I droni si sono dimostrati l’arma più adatta, per esempio in Etiopia, dove hanno consentito (nel 2020-2022) al governo di Addis Abeba di bloccare in pochi mesi la ribellione degli eritrei costringendoli a firmare un trattato di pace. I risultati ottenuti dagli ucraini contro gli invasori russi hanno fatto il resto.

Il pericolo è che la diffusione sfugga di mano o venga usata a sproposito. ‘Il rapporto droni – aerei caccia degli eserciti africani è ormai superiore a quello degli eserciti europei’, afferma Pieter Wezeman, ricercatore presso l’Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma, che ‘constata un’accelerazione degli ordini di UAV provenienti dall’Africa anche in presenza nel 2022 di una diminuzione delle spese militari africane’.

Wim Zwijnenburg, ricercatore dell’organizzazione olandese PAX, specializzata in conflitti, ha lanciato un allarme: ‘Gli stati maggiori degli eserciti africani pensano di poter ottenere con i droni risultati rapidi e di poter combattere senza perdere soldati. L’utilizzo in maniera poco precisa provoca molte vittime collaterali e non permette di risolvere e cause dei conflitti’. Il pericolo è che gli eserciti africani puntino tutto sulla tecnologia militare anche contro le guerriglie, senza ricercare alcuna prospettiva di pace.

La proliferazione di droni richiederebbe d’altra parte, secondo numerose organizzazioni umanitarie, un aggiornamento delle regole internazionali relative all’utilizzo degli UAV, definendo con precisione chi è responsabile delle vittime civili colpite da droni. Per Anitie Ewang, di Human Rights Nigeria, ‘è inammissibile infatti che l’esercito nigeriano continui ad uccidere civili colpiti da droni utilizzati maldestramente’. In Somalia, sotto accusa sono gli americani impegnati nella guerra contro la milizia islamica al-Shabab; Washington, scrive Le Monde, si è limitato finora a riconoscere ‘l’esistenza di vittime collaterali’.

Le esportazioni occidentali di droni verso l’Africa sono poche, a causa dei limiti posti dai trattati sulle vendite di armi. Le esportazioni europee riguardano soprattutto gli UAV utilizzati dagli Stati per la ricognizione e sorveglianza nella lotta contro la criminalità, le organizzazioni terroristiche e l’immigrazione clandestina. In quest’ultima prospettiva la Spagna pochi mesi fa ha consegnato dei droni al Senegal per individuare il punto di partenza di barconi di migranti diretti verso le Canarie, e la Francia si appresterebbe a fornire droni di sorveglianza al Benin per combattere i gruppi islamisti armati.

(English version)

It is not only the mineral riches (precious metals, diamonds) nor even the ‘rare earths’ in which it is rich, that explain the world’s interest, led by great powers, who discover, or rediscover, Africa. In recent years, the Black Continent has in fact become an extremely attractive ‘market’ for weapons manufacturers, in particular for countries that produce and sell ‘Unmanned Aerial Vehicles’, i.e. drones. According to the French newspaper ‘Le Monde’, those competing for the African market – given the spectacular results obtained by Ukraine against Russia – are above all China, Russia, Turkey and Israel. With the risk that these drones, an almost ‘pocket’ version of even more powerful weapons, could end up in the hands of terrorist organizations or ‘rogue states’.

In 2021, at the end of an ongoing trip to some African countries, Turkish President Recep Tayyip Erdogan declared that everywhere he had been ‘everyone talks to me about drones!’ It may be a coincidence, but in the following months the three countries he visited (Togo, Angola, Nigeria) entered the ‘club’ of states that have equipped themselves with Turkish combat drones, to be precise the Aksungur and Bayraktar TB2 models. A drone, the second, capable of flying for 27 hours in a radius of 150 km with four laser-guided missiles on board. Today 21 African states have drones; nine are those that have armed drones at their disposal. And, according to many experts, the Bayraktar TB2 is the drone that all African armies would like, in open competition with the Chinese Wing Loong and CH4. There are no official figures, but at least a dozen African states have purchased them in quantity. In fact, drones have ‘affordable’ prices, the most expensive would cost around three million euros, six times less than their American equivalents. And those for reconnaissance even less than a million. The purchasing conditions are also easy. The researchers and experts interviewed by Le Monde in fact maintain that, by selling their drones to African countries, the manufacturers do not aim for immediate profit, but to strengthen friendly relations with their interlocutors in a long-term political-economic perspective.

Turkey’s primary objective would be to re-establish cultural relations with many countries that, in the past, were part of the Caliphate; using drones ‘as a gateway’. China’s main interest would be to establish or deepen a commercial presence that allows it not to lose sight of what is happening around the major maritime communication lines through which it exports its goods to Europe. Even Russia, which has been present in Africa with direct support for the liberation movements in the states that led to decolonization, would have primarily political interests.

It is a fact that the African market is more attractive than ever for producers of UAVs, a type of weapon that is proving every day to be the most effective for the type of conflicts taking place on the continent – most of which are of medium-low intensity. – and for the number: at least half of the over 400 being fought in the world are taking place in Africa. The war in Somalia has lasted for 24 years. Drones have proven to be the most suitable weapon, for example in Ethiopia, where they allowed (in 2020-2022) the Addis Ababa government to block the Eritrean rebellion in a few months by forcing them to sign a peace treaty. The results obtained by the Ukrainians against the Russian invaders they did the rest.

The danger is that diffusion gets out of hand or is used inappropriately. ‘The ratio of drones to fighter planes of African armies is now higher than that of European armies’, says Pieter Wezeman, researcher at the Stockholm Peace Research Institute, who ‘has noted an acceleration of UAV orders from Africa even in the presence of a decrease in African military spending in 2022.

Wim Zwijnenburg, a researcher at the Dutch organization PAX, which specializes in conflicts, raised an alarm: ‘The general staffs of African armies think they can achieve rapid results with drones and that they can fight without losing soldiers. Use in an imprecise manner causes many collateral victims and does not allow the resolution of the causes of conflicts. The danger is that African armies will focus everything on military technology even against guerrillas, without seeking any prospect of peace.

On the other hand, the proliferation of drones would require, according to numerous humanitarian organizations, an update of international rules relating to the use of UAVs, precisely defining who is responsible for civilian victims hit by drones. For Anitie Ewang, of Human Rights Nigeria, ‘it is unacceptable that the Nigerian army continues to kill civilians struck by clumsily used drones’. In Somalia, the Americans involved in the war against the Islamic militia al-Shabab are under accusation; Washington, writes Le Monde, has so far limited itself to recognizing ‘the existence of collateral victims’.

Western drone exports to Africa are few, due to limits placed on arms sales treaties. European exports mainly concern UAVs used by states for reconnaissance and surveillance in the fight against crime, terrorist organizations and illegal immigration. In this latter perspective, a few months ago Spain delivered drones to Senegal to identify the starting point of migrant boats headed towards the Canary Islands, and France is preparing to supply surveillance drones to Benin to fight armed Islamist groups.

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