(Marzia Giglioli)
Questione femminile e nuova grammatica del pensiero
(riflessioni all’indomani delle manifestazioni contro i femminicidi)
Se le parole sono la traduzione del pensiero c’è davvero tanto da fare. Anche la grammatica (parola femminile) è maschilista. Gli stessi aggettivi hanno significati leciti se declinati al maschile mentre, al femminile, prendono accezioni dispregiative. “Sono solo parole”, dice Paola Cortellesi in un esilarante recital sui “doppi significati” delle stesse. Ma le parole pesano come macigni e traducono la violenza del pensiero nelle forme più subdule, più pericolose.
Anche la differenza tra le parole fa la “differenza” di genere. Si inizia da piccoli con una cattiva grammatica che diventa mala-educazione.
L’educazione sentimentale dovrà tener conto di queste radici se si vuole davvero vincere il “patriarcato” lessicale e sociale. Serve una nuova alfabetizzazione. Serve coniare un diverso linguaggio per elaborare un nuovo pensiero complesso in cui i confini attuali non entrino più nel vocabolario dei comportamenti e in cui non appaiano più i concetti e le parole “te la sei cercata” oppure “stai al posto tuo”.
All’indomani della grande manifestazione che ha visto migliaia di persone in piazza in tutta Italia contro il femminicidio e la cultura anti-femminile, molte le riflessioni per un cambiamento profondo e molte le strade da intraprendere. Ma, forse, la prima è trovare le radici dell’errore e scovare la falsa antropologia delle differenze per estirparla una volta per tutte. Si deve cancellare l’errore iniziale che ha portato, finora, all’ “equivocità controllata” (la “controlled equivocation” dell’antropologo Eduardo Viveiros de Castro) che si può adattare anche alla questione femminile come a tutte le questioni di genere per denunciare gli errori di metodo.
E, ancora, bisogna soprattutto cambiare prospettiva, quella che ha marginalizzato la questione femminile fino a farla coincidere con la struttura stessa della realtà: ma di quella sbagliata.
(English version)
Women’s question and new grammar of thought (reflections in the aftermath of the demonstrations against feminicides)
If words are the translation of thoughts there is really a lot to do. Even grammar (a feminine word) is chauvinistic. The same adjectives have legitimate meanings if declined in the masculine form while, in the feminine, they take on derogatory meanings. “Just words”, says the the Italian actress Paola Cortellesi in a hilarious recital on their “double meanings”. But words weigh like boulders and translate the violence of thought into the most subtle, most dangerous forms.
Even the difference between words makes the “difference” of gender. It starts as a child with bad grammar that becomes bad manners. Sentimental education will have to take these roots into account if we really want to overcome the lexical and social “patriarchy”. We need a new literacy. We need to coin a different language to develop a new complex thought in which the current boundaries no longer enter the vocabulary of behavior and in which concepts and words would like to imply that women are the cause of the discrimination and violence they suffer or that would like to confine them to their place, no longer appear.
In the aftermath of the great demonstration that saw thousands of people taking to the streets throughout Italy against femicide and anti-female culture, there were many reflections for profound change and many paths to take. But, perhaps, the first is to find the roots of the error and uncover the false anthropology of differences to eradicate it once and for all. We must erase the initial error that has led, up to now, to “controlled equivocation” (as evoked by the anthropologist Eduardo Viveiros de Castro) which can also be adapted to the women’s issue as to all gender issues to denounce methodological errors.
And, above all, we need to change perspective, the one that has marginalized the women’s issue to the point of making it coincide with the very structure of reality: but the wrong one.
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