Fuori dai discorsi di reciproco antagonismo, la politica dovrebbe ricongiungersi con la realtà. Dire che, nel tempo che viviamo, il tema della ‘sovranità alimentare’ è parte di un approccio sovranista significa non capire cosa sta accadendo.
Eppure molti si esercitano a confondere le cose. La sovranità alimentare è uno dei temi che riguardano la necessità non più eludibile di critica alla globalizzazione che conosciamo. La scelta di non governare politicamente la globalizzazione sta portando problemi, certamente esacerbati dalla pandemia e dalla guerra, che riguardano l’eccessiva lontananza e incontrollabilità delle catene di approvvigionamento.
Senza cadere nell’autarchia, evocare la sovranità alimentare significa lavorare perché i player regionali abbiamo un’autosufficienza in campi sensibili: e quello dell’alimentazione lo è. Negli ambiti regionali, l’interesse nazionale non diventa elemento per un sovranismo anti-storico ma l’espressione complessa dei contesti nazionali. La sovranità alimentare è una chiave per ripensare la globalizzazione laddove non viene separata dal tema della società aperta.
Le comunità umane hanno la responsabilità storica di proteggersi perché le identità e le tradizioni autoctone non sono replicabili e costituiscono una preziosa originalità da preservare. La sfida è nel governo politico del passaggio dei processi globali nei territori. Senza governo politico, come accade da alcuni decenni, ogni sistema nazionale diventa terreno di conquista in una competizione selvaggia. Certo non è questo mercato globale che fa e potrà fare gli interessi dei popoli.
Separare il tema della salvaguardia dell’interesse nazionale da quello delle società aperte in un quadro regionale significa portare le realtà nazionali ad auto-immunizzarsi e a mettere in pericolo il senso stesso della scelta democratica. Lo abbiamo visto in anni non troppo lontani nel ‘900 ed è una esperienza tragica da mantenere viva nella memoria.
Criticare la globalizzazione significa, secondo noi, tendere alla glocalizzazione e avere cura di governare per garantire la salvaguardia dell’interesse dei popoli in dialoghi strategici che non devono mai cessare verso la sostenibilità politico-strategico del mondo e dei mondi.
English version
Outside the talk of mutual antagonism, politics should reconnect with reality. To say that, in the times we live in, the issue of ‘food sovereignty’ is part of a sovereignist approach is to fail to understand what is happening.
Yet many are practising confusion. Food sovereignty is one of the issues concerning the no longer elusive need to criticise globalisation as we know it. The choice not to govern globalisation politically is leading to problems, certainly exacerbated by the pandemic and war, concerning the excessive remoteness and uncontrollability of supply chains.
Without falling into autarky, evoking food sovereignty means working to ensure that regional players have self-sufficiency in sensitive fields: and food is one. In regional areas, the national interest does not become an element for an anti-historical sovereignism but the complex expression of national contexts. Food sovereignty is a key to rethinking globalisation where it is not separated from the issue of open society.
Human communities have a historical responsibility to protect themselves because identities and autochthonous traditions are not replicable and constitute a precious originality to be preserved. The challenge is in the political governance of the passage of global processes in the territories. Without political governance, as has been the case for several decades, each national system becomes a terrain of conquest in unbridled competition. Certainly it is not this global market that does and will be able to serve the interests of the peoples.
To separate the issue of safeguarding the national interest from that of open societies in a regional framework is to lead national realities to self-immunisation and to undermine the very meaning of democratic choice. We have seen this in not too distant years in the 20th century and it is a tragic experience that must be kept alive in the memory.
Criticising globalisation means, in our opinion, tending towards glocalisation and taking care to govern in order to safeguard the interest of peoples in strategic dialogues that must never cease towards the political-strategic sustainability of the world and worlds.