Alcuni passaggi dall’analisi di Dennis Ross (Counselor at the Washington Institute for Near East Policy and a former U.S. Envoy to the Middle East. He served in senior national security positions in the Reagan, George H. W. Bush, Clinton, and Obama administrations) per Foreign Affairs, ‘What Israel must do” (11 ottobre 2023) – nostra traduzione in italiano
(…) Nel settembre 2005, il Primo Ministro israeliano Ariel Sharon ha ordinato il ritiro di tutti i soldati e i coloni israeliani dalla Striscia di Gaza. La storica decisione di andarsene significava che i palestinesi potevano finalmente determinare il destino di Gaza. È stato un momento di speranza. Per decenni, il destino di Gaza era stato plasmato da altri; ora erano i gazesi stessi a comandare. Sembrava possibile immaginare un futuro in cui i leader gazesi avrebbero trasformato la striscia da incubatrice di terrorismo a prototipo di uno Stato palestinese pacifico, modernizzante e stabile. Ma Hamas ha rifiutato questa strada. Nonostante la partenza delle truppe e dei coloni israeliani, Hamas ha continuato ad attaccare Israele, colpendo più volte i punti di passaggio tra Gaza e Israele nei primi sei mesi dopo il ritiro. (…) gli attacchi di Hamas hanno portato Israele a ridurre il numero di punti di passaggio da sei a due. I palestinesi di Gaza hanno pagato il prezzo delle azioni di Hamas. Nonostante gli attacchi di Hamas ai valichi, Israele non ha imposto un blocco su Gaza fino alla presa di controllo de facto della Striscia da parte di Hamas nel 2007. Un anno prima, Hamas aveva sconfitto il suo rivale palestinese Fatah in un’elezione, ma poiché si rifiutava di accettare le condizioni del Quartetto (Unione Europea, Russia, Nazioni Unite e Stati Uniti) per il riconoscimento – rinuncia alla violenza, accettazione degli accordi di Oslo e riconoscimento di Israele – Washington e la maggior parte dei Paesi europei si rifiutarono di trattare con Hamas o di fornirgli assistenza. Poi, nel giugno 2007, Hamas ha spodestato l’Autorità Palestinese e Fatah con un colpo di stato militare, impossessandosi delle istituzioni di governo di Gaza e inducendo Israele a chiudere i valichi di frontiera e l’accesso aereo e marittimo alla striscia. Ancora una volta, i palestinesi hanno sofferto. (…) Oltre a consolidare il proprio controllo, il programma principale di Hamas per Gaza è la costruzione di infrastrutture e arsenali militari. Ha costruito decine di chilometri di tunnel sotterranei, non per fornire rifugi alla popolazione di Gaza, ma per proteggere i propri combattenti e le proprie armi. Il cemento, l’acciaio, il rame, il legno e i cavi elettrici che sono stati spesi per questa vasta rete sotterranea avrebbero potuto essere utilizzati in superficie, per servire e sviluppare una delle aree più povere e densamente popolate del mondo. Ma la priorità di Hamas è distruggere Israele, non costruire Gaza. (…) Gli israeliani di tutto lo spettro politico ora credono che Hamas debba essere distrutto come potenza militare e che Gaza debba essere smilitarizzata. Israele non accetterà più una tregua con Hamas. (…) Il 7 ottobre di Israele produrrà una risposta simile a quella degli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Decapitare la leadership di Hamas, distruggere le sue infrastrutture militari, uccidere un gran numero di combattenti e persino occupare nuovamente Gaza sono obiettivi molto concreti. (…) L’amministrazione Biden si è impegnata a sostenere Israele e ad affermare il suo diritto all’autodifesa. Ma più il conflitto si protrarrà, più Israele dovrà affrontare pressioni crescenti per porvi fine. Con l’aggravarsi del bilancio a Gaza, alcuni leader occidentali e arabi probabilmente sosterranno che l’azione militare israeliana è sproporzionata. È giusto chiedersi cosa sia proporzionato quando si affronta un gruppo che uccide deliberatamente gli innocenti, prende in ostaggio donne e bambini e usa ogni cessate il fuoco per prepararsi alla prossima serie di attacchi. Se Hamas manterrà la capacità di minacciare Israele, si presenterà come il vincitore e questo sarà un enorme stimolo per le forze radicali e destabilizzanti della regione che abbracciano la violenza e rifiutano la pace. Israele dovrebbe consentire l’invio di cibo e medicinali nelle aree sicure che ha già designato per i gazesi. Non ha alcun interesse a creare altri rifugiati palestinesi o a spingerli in Egitto, e può dimostrare al mondo che sta combattendo una guerra di necessità per disarmare Hamas e non sta cercando di punire i civili palestinesi. (…) Gli aiuti per la ricostruzione di Gaza devono essere legati alla smilitarizzazione della striscia. Per Israele questo è il minimo, e il suo attacco militare potrebbe riuscire a distruggere in gran parte tutte o la maggior parte delle infrastrutture militari di Hamas. Di certo, Israele non si fermerà fino a quando Hamas non sarà stato ampiamente disarmato e non saranno stati messi in atto meccanismi per garantire che non possa riarmarsi. Il fine ultimo di Israele è assicurarsi che Hamas non possa più minacciarlo. (…) è possibile che, a caro prezzo, Israele riesca a sradicare la leadership di Hamas, a decapitarla e a distruggere granere a Gaza e cercherà di affidare il governo del territorio a un’autorità di transizione sotto un ombrello internazionale. Chi formerebbe tale autorità? Quale ruolo giocherebbe l’ONU? Esiste una combinazione di attori regionali e non che potrebbero assumersi delle responsabilità? (…) L’amministrazione Biden e i suoi partner internazionali farebbero bene a formulare piani per diversi possibili esiti. Ma ci deve essere una condizione: che Hamas non sia mai più in grado di minacciare Israele.