Soprattutto in questa fase storica, un discorso pubblico sull’ “auto-critica democratica” appare necessario.
Accanto a una riflessione strategica sullo “sviluppo umano integrale”, tema da porre al centro delle decisioni delle classi dirigenti e da percorrere nel profondo delle comunità umane, il discorso democratico assume contorni ancora più importanti.
Lo vediamo ogni giorno e, lo diciamo con realismo, non era necessario l’assalto di Capitol Hill o quello alle istituzioni brasiliane o la situazione in Israele per comprendere che la democrazia va ri-pensata (pensata continuamente). E’ segno di debolezza democratica, almeno per chi scrive, la retorica dei “Summit delle democrazie” in un quadro di crescente tensione internazionale che definiamo nell’espressione “democrazie vs autocrazie”.
Il tema si è imposto, all’attenzione di chi lo voleva vedere, con la fine dell’equilibrio bipolare, con la caduta simbolica del Muro di Berlino e con l’implosione dell’Unione Sovietica. In quel passaggio storico fondamentale, complice l’illusione da “fine della storia”, si è pensato che bastasse dire democrazia e mercato (anche “esportando” il binomio a prescindere dai contesti) per generare pace, giustizia e benessere diffusi. Ebbene, non è andata così.
Sono proprio coloro che credono nella democrazia, a cominciare da chi scrive, a dover criticare ciò che accadde alla democrazia dopo il 1989-1991: la sua dogmatizzazione e l’incapacità, tuttora conclamata, di parlarne in termini complessi a cominciare dal bisogno di de-radicalizzarla.
Occorre non confondere. Cercare di condizionare positivamente i contesti attraverso la democrazia, i suoi principi e i suoi valori, può essere auspicabile e positivo: non, però, com’è accaduto negli ultimi trent’anni. Due sono gli elementi non considerati: la “non problematizzazione” della democrazia stessa e la “non considerazione” dei contesti nei quali essa andava a impattare (in molti casi, l’esportazione della democrazia è andata di pari passo con l’esportazione della guerra).
Oggi, nel “cambio di era” che stiamo vivendo, il discorso democratico s’inquadra in un quadro geostrategico in radicale e velocissima evoluzione-involuzione: nella ricerca di un nuovo ordine mondiale, dove i player statuali (democratici o meno), e non, si sono moltiplicati, l’importanza delle democrazie si vede dalla loro capacità di essere auto-critiche. I giochi di forza, nella continua radicalizzazione, non fanno che accrescere la tendenza, che pare inarrestabile, alla de-generazione democratica.