E’ del tutto evidente, ed è urgente com-prenderlo (capirlo-in-noi), che è in atto una grande ri-configurazione del mondo in termini di rapporti di potere e di redistribuzione della ricchezza. Ciò che occorre governare politicamente sono le vie delle metamorfosi, del dove andiamo, di come potrebbero avvenire nuove ri-generazioni.
Non basta più parlare di cambiamento. Gli storici, con la dovuta distanza temporale e nel distacco dalla cronaca, studieranno le cause profonde della guerra ibrida che si sta combattendo nel cuore d’Europa: a noi, contemporanei, smetta certamente capire ma, soprattutto, impegnarci nel governo delle conseguenze che quella guerra sta comportando e comporterà. Con, sullo sfondo, i colpi di coda di una pandemia sempre presente.
Non basta più parlare di cambiamento perché oggi sono in gioco i futuri-dei-mondi. Ci stiamo trasformando profondamente ed è in mano a ciascuno di noi la responsabilità storica di contribuire a un progetto di civiltà, anzitutto camminando insieme nella ri-generazione delle relazioni, del destino planetario, della Terra-Patria. Il tutto, come continuiamo a notare, a partire dai “dove” della nostra vita, dai luoghi della nostra esperienza vitale.
Le città e i territori saranno sempre più decisivi e, progressivamente, andranno ri-configurandosi come poli strategici di relazioni glocali. Tante parole, a cominciare da giustizia e libertà, si sono svuotate in questi ultimi decenni, laddove abbiamo creduto che essere potessero essere garantite e realizzate dalla sola esistenza della democrazia liberale e di un mercato che pensavamo potesse auto-regolarsi. Abbiamo visto, a nostre spese, che tutto questo non si è verificato: e lo abbiamo visto, in particolare, in quei settori sensibili come la salute e l’istruzione che hanno a che fare con lo “spazio comune” che, al contempo, tutti riguarda e tutti supera. Occorre ri-partire, dunque, da dove le persone gioiscono, soffrono, vivono e operano.
La costruzione del progetto di civiltà, nella metamorfosi glocale in progress, non può che avvenire dentro la rivoluzione tecnologica in atto. Tutti sappiamo che le tecnologie non sono neutre ma l’etica della tecnologia riguarda unicamente la loro finalizzazione: non esistono, in sostanza, tecnologie buone e tecnologie cattive ma soluzioni tecnologiche in grado di contribuire a ri-costruire gli spazi-del-comune che abbiamo abbandonato in nome della assolutizzazione del “pubblico” e del “privato”. Così facendo, tragicamente, abbiamo eroso la relazione, ciò che tiene insieme le comunità umane, ciò che garantisce loro una soggettività politica.
Le tecnologie sono utili quando ci aiutano a organizzare strategicamente l’infinità di dati che produciamo, a sistematizzarli per aiutare l’attività di governo, anzitutto delle città e dei territori. Dentro la mega-crisi nella quale siamo avvolti, tali e tante sono le dinamiche che la nostra intelligenza ha bisogno di soluzioni avanzate per prevenire i rischi e per lavorare non nel solo termine di gestione delle conseguenze (che, più che lavoro politico, è lavoro amministrativo).
In conclusione, siamo in una fase storica che è limitante definire di cambiamento. Abbiamo bisogno di ri-trovare, insieme, le vie di una metamorfosi glocale: ben sapendo che, per esserne protagonisti, esse si avviano dentro di noi.
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