Nei diversi cicli dell’evoluzione storica, l’interesse nazionale è sempre al centro. E’ un interesse oggettivo, né buono né cattivo, che appartiene alla tradizione dei popoli e che non è eliminabile.
E’ sbagliato sovrapporre l’interesse nazionale al ben più pericoloso nazionalismo. L’errore politico-strategico degli ultimi decenni è stato di separare il tema dell’interesse nazionale da quello delle società aperte. In sostanza, ci siamo illusi che, in un democratico mercato globalizzato, si creassero automaticamente le condizioni per la pace, per la giustizia, per il benessere. Ebbene, ci siamo sbagliati.
Abbiamo costruito un multilateralismo a-politico, non regolato e non centrato sul governo politico del passaggio (e dell’impatto) dei processi planetari nei (e sui) territori. Questo ha accresciuto l’incapacità delle democrazie liberali di rispondere ai bisogni (sempre più spesso vitali) dei popoli, ha reso più radicali le disuguaglianze, ha contributo a dividere il mondo tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ e ha umiliato, radicalizzandoli, gli interessi nazionali.
Dopo un periodo di scelte profondamente sbagliate da parte delle classi dirigenti, oggi è venuto il tempo di cambiare via. Pacificare gli interessi nazionali è diventata una necessità non più rinviabile. Per pacificare gli interessi nazionali occorre maturare nuove visioni politico-strategiche di sostenibilità, riaprire il tempo dei negoziati politico-diplomatici, passare dal multilateralismo a un più realistico ‘multi-bi-lateralismo’, immaginare creativamente il futuro della globalizzazione in ‘glocalizzazione’.
Se guardiamo al mondo con un approccio critico e complesso ci rendiamo conto che abbiamo ridotto la politica a un’arena competitiva tra interessi nazionali radicalizzati. La guerra, da condannare sempre, non è mai un incidente della storia. La storia ci insegna che umiliare gli interessi nazionali porta sempre a risultati tragici.
English version
In the different cycles of historical evolution, the national interest is always at the centre. It is an objective interest, neither good nor bad, that belongs to the tradition of peoples and cannot be eliminated.
It is wrong to superimpose national interest on the much more dangerous nationalism. The political-strategic mistake of recent decades has been to separate the issue of national interest from that of open societies. In essence, we have deluded ourselves that, in a democratic globalised market, the conditions for peace, for justice, for prosperity would automatically be created. Well, we were wrong.
We have built an a-political multilateralism, unregulated and not centred on the political government of the passage (and impact) of planetary processes in (and on) the territories. This has increased the inability of liberal democracies to respond to the (increasingly vital) needs of peoples, made inequalities more radical, contributed to dividing the world between ‘good’ and ‘bad’ and humiliated national interests, radicalising them.
After a period of deeply flawed choices by the ruling classes, today the time has come to change course. Pacifying national interests has become a necessity that can no longer be postponed. Pacifying national interests requires new political-strategic visions of sustainability, reopening the time for political-diplomatic negotiations, moving from multilateralism to a more realistic ‘multi-bi-lateralism’, creatively imagining the future of globalisation in ‘glocalisation’.
If we look at the world with a critical and complex approach, we realise that we have reduced politics to a competitive arena between radicalised national interests. War, which is always to be condemned, is never an accident of history. History teaches us that humiliating national interests always leads to tragic results.