Pace e intelligenza umana / Peace and human intelligence

(Marco Emanuele)

La nostra vera responsabilità, guardando all’intelligenza artificiale, è non far de-generare l’intelligenza umana. Siamo noi che alimentiamo gli algoritmi: come drammatico divertissement, il rischio è che il nostro pensiero diventi algoritmico.

C’è molto bisogno di re-investimento nell’intelligenza umana. Dovremmo tutti ri-svegliarci nella realtà in trasformazione. Soprattutto pensando alla pace.

La costruzione degli scenari predittivi muove dentro un pensiero lineare e separante. Dove il livello di complessità è particolarmente profondo, come nel Vicino Oriente, il metodo non può più essere quello di un realismo senz’anima storica, algoritmico (nuovo e altrettanto vecchissimo). Il disastro è dietro la porta.

La pace come processo storico è sempre in compimento, esercizio di costruzione, cantiere, laboratorio di convivenza. La pace ha senso se soffia dentro l’evoluzione contraddittoria dei contesti umani e se non diventa modellizzazione algoritmica, categorizzazione delle parti in causa, facile compromesso. Operare mediazioni complesse è tutt’altro: l’arte diplomatica è l’esatto opposto della previsione algoritmica, è cammino nel futuro già presente.

Abbiamo scelto la pace come nostro tema di ‘elezione’ perché nulla è più complesso. Se accettiamo la sfida del ri-pensare profondamente il nostro approccio nella pace, tutto va di conseguenza: i nostri modelli certi mostrano tutta la loro consunzione e la loro poca spendibilità a livello di decisione geostrategica. Siamo figli (almeno noi cinquatenni) di un’altra epoca, di un altro mondo e questo ci condiziona pesantemente nella riflessione: eppure dovremmo sforzarci di diventare responsabili, ri-appropriandoci della complessità dell’intelligenza umana nella complessità della Storia che generiamo e che facciamo de-generare.

(English version) 

Our real responsibility, looking at artificial intelligence, is not to de-generate human intelligence. We are the ones who feed the algorithms: as a dramatic divertissement, the risk is that our thinking becomes algorithmic.

There is much need for re-investment in human intelligence. We should all re-awaken to the transforming reality. Especially thinking about peace.

The construction of predictive scenarios moves within a linear and separating thinking. Where the level of complexity is particularly profound, as in the Near East, the method can no longer be that of a soulless, historical, algorithmic realism (new and equally very old). Disaster is just around the corner.

Peace as a historical process is always in progress, laboratory of coexistence. Peace makes sense if it blows within the contradictory evolution of human contexts and if it does not become algorithmic modeling, categorization of the parties involved, easy compromise. Carrying out complex mediations is something completely different: diplomatic art is the exact opposite of algorithmic prediction, it is a journey into the already present future.

We have chosen peace as our ‘choice’ theme because nothing is more complex. If we accept the challenge of profoundly re-thinking our approach to peace, everything goes accordingly: our certain models show all their weariness and their lack of usability at the level of geostrategic decisions. We are children (at least us fifty-year-olds) of another era, of another world and this heavily influences our reflection: yet we should strive to become responsible, re-appropriating the complexity of human intelligence in the complexity of the History that we generate and make de-generate.

(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)

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