Camminare nel tempo che viviamo è un esercizio complesso. In particolare negli ultimi decenni, sembriamo aver smarrito la capacità di orientamento. Abbiamo l’urgenza di una bussola geostrategica.
Le grandi questioni globali, dall’implosione dell’Unione Sovietica ai giorni nostri, ci raccontano di strategie fondate sul dogma del progresso lineare. Gli effetti positivi dell’attuale fase di globalizzazione, l’importanza di vivere in democrazia e l’esplosione della rivoluzione tecnologica, in assenza di pensiero geostrategico, sono grandi conquiste con fondamenta fragili: perché, concentrando la nostra attenzione sui processi che avrebbero dovuto “determinare” un progresso certo per tutti, quegli stessi processi si sono mostrati nella loro complessità, al contempo generativi e de-generativi.
La convivenza umana è percorsa da conflittualità esacerbate, competizione senza cooperazione, progressive radicalizzazione identitaria e carenza di dialogo, crescita delle disuguaglianze, insostenibilità. Tutto questo avrebbe dovuto predisporci a “nuove” responsabilità da molto tempo: eppure, nonostante molti allarmi provenienti da più parti, l’enfasi sul progresso lineare è continuata, dalla formazione alla decisione strategica.
La bussola geostrategica qui evocata è un metodo. Non programma determinato in partenza, il metodo complesso è cammino che si fa camminando, tentativo di orientamento nell’incertezza. Il che significa che occorre sviluppare, oltre alle certezze che ci servono inevitabilmente, la consapevolezza che la vita stessa è incerta e che, soprattutto in questa fase, l’imprevedibile è parte determinante della nostra esperienza. Laddove non viene compresa, l’incertezza diventa insicurezza con tutte le conseguenze che questo comporta.
Il progresso lineare e dogmatizzato diventa una trappola perché genera pericolosi auto-inganni. Veniamo da anni in cui, con troppa leggerezza, abbiamo “lasciato fare” a forze che noi stessi abbiamo scatenato (il mercato, anzitutto) nell’illusione che potessero garantirci benessere e pace. Abbiamo diviso il mondo tra democrazie e autocrazie e, nel tempo del metaverso, ci ritroviamo dentro una guerra nel cuore dell’Europa e, allargando lo sguardo, dentro quella che papa Francesco ha definito la guerra mondiale “a pezzi”. Pace, sviluppo e sicurezza sono lontane dall’essere il risultato di un lungo, e paziente, lavoro complesso di mediazioni e visione politiche.
Non possiamo vivere di nostalgia rispetto alle classi dirigenti, non solo politiche, delle generazioni precedenti. Se nel passato vi erano grandi personalità che conoscevano profondamente i processi storici e sapevano decidere in essi, con la caduta del muro di Berlino il mondo è radicalmente cambiato. Le visioni di un tempo non sono più adeguate: ciò che impressiona è la velocità e la radicalità con le quali il mondo continua a cambiare.
Dobbiamo essere consapevoli che il ‘900, secolo lunghissimo, è definitivamente finito. Fatichiamo a prenderne atto e, in molti casi, ancora cerchiamo un ordine certo che non potrà più esistere. La globalizzazione, che ha aperto le nostre società e le nostre identità al mondo, e la rivoluzione tecnologica sono processi irreversibili pur se da governare. Su questo punto, da almeno trent’anni, siamo orfani di un pensiero culturale-politico complesso.
In tutta la complessità che siamo e che generiamo, è venuto il tempo di una grande trasformazione dei nostri paradigmi culturali e operativi: occorre ri-tornare (tornare continuamente) nella realtà, assumendo il paradigma di complessità per leggere e governare la realtà dall’alto e nel profondo e per legare pensiero complesso, sviluppo umano integrale ed etica della tecnologia: altresì, per comprendere l’evoluzione-involuzione dello Stato, della democrazia e per analizzare i “segni totalitari” che attraversano il mondo. In questo consiste il nostro cammino di ricerca, metodo complesso.