(Marco Emanuele)
Se è importante comprendere i movimenti dei rapporti di potere a livello internazionale, la situazione che viviamo chiede pensiero complesso. La profondità degli incendi che attraversano il mondo, infatti, deve portarci in riflessioni ben diverse da quelle che abbiamo creduto essere risolutive fino a ora.
Lo scenario è di sola competizione ed è un processo ormai diffuso che riguarda ciascuno di noi in ogni ambito della vita personale e collettiva. Veniamo da decenni di evidenti auto-inganni, per chi li voglia vedere, che hanno causato conseguenze gravi e molto serie (la profondità degli incendi …). Ci addentreremo, in prossimi contributi, negli auto-inganni che abbiamo provocato a noi stessi, che potremmo definire miccie di de-generazione.
Mentre il mondo si muoveva dentro la competizione, complici classi dirigenti del tutto disattente al fiume carsico che scorreva sotto i loro piedi, nei popoli viveva (e vive), fino a diventare la rabbia che conosciamo, un risentimento e un desiderio di ‘vendetta’ storica facilmente strumentalizzabili da realtà criminali (network complessi) che nulla hanno a che fare con i poveri del mondo, così come con Dio (qualunque sia la sua ‘declinazione’). I vuoti non esistono in geopolitica perché qualcuno, prima o poi, li riempie: ebbene, noi occidentali sviluppati e benestanti non abbiamo prestato sufficientemente attenzione alle cause di quei vuoti.
Anzi, abbiamo continuato a formare le giovani generazioni alla competizione per la competizione, al pensiero lineare e alla separazione disciplinare. Compromesso e mediazione, cuore dell’attività diplomatica, sono stati sopraffatti – anche in democrazia – dalla deleteria propaganda in conflitti de-generati, via il mancato governo politico dei naturali conflitti sociali. Anche i giovani sono cresciuti con l’idea che bastasse competere e, in molti casi, anche la rivoluzione tecnologica è stata posta su quel piano: da strumento indispensabile per migliorare la condizione umana, l’innovazione tecnologica rischia di trasformarsi in rischio esistenziale.
L’educazione e la formazione devono fondarsi sul pensiero complesso e cercare, con spirito critico e problematizzando il ‘pensato’ e il ‘conosciuto’ (fuori dalla logica antagonistica), quella ‘terza verità’ (in minuscolo e non dogmatica) che è percorso di giudizio storico. Tutti dovremmo convergere, ognuno a suo modo, sulla prospettiva di una ‘competizione cooperativa’ che recuperi gli spazi di confronto, di mediazione e di dialogo e che si alimenti di visioni politiche adeguate e non più fondate su paradigmi novecenteschi. Se vogliamo che il futuro già presente sia sostenibile, abbiamo – anzitutto come intellettuali e fin da subito – una responsabilità formidabile.
(English version)
While it is important to understand the movements of power relations at the international level, the situation we are experiencing calls for complex thinking. Indeed, the depth of the fires raging across the world must lead us into reflections quite different from those we have believed to be decisive so far.
The scenario is one of competition alone and it is a widespread process that affects each of us in every sphere of personal and collective life. We come from decades of obvious self-deceptions, for those who want to see them, which have led to very serious consequences (the depth of the fires …). We will delve, in forthcoming contributions, into the self-deceptions we have caused ourselves, which we might call de-generation triggers.
While the world moved within the competition, accomplices of ruling classes totally inattentive to the karst river flowing under their feet, in the peoples lived (and lives), to the point of becoming the rage we know, a resentment and a desire for historical ‘revenge’ easily exploited by criminal realities (complex networks) that have nothing to do with the poor of the world, as well as with God (whatever its ‘declension’ may be). Voids do not exist in geopolitics because someone, sooner or later, fills them: well, we developed and affluent westerners have not paid sufficient attention to the causes of those voids.
On the contrary, we have continued to train the younger generations in competition for competition’s sake, in linear thinking and disciplinary separation. Compromise and mediation, the heart of diplomacy, have been overwhelmed – even in democracy – by deleterious propaganda in de-generated conflicts, via the failure to politically govern natural social conflicts. Young people have also grown up with the idea that it was enough to compete and, in many cases, even the technological revolution has been placed on that level: from being an indispensable tool for improving the human condition, technological innovation risks turning into an existential risk.
Education and training must be based on complex thinking and seek, with a critical spirit and problematising the ‘thought’ and the ‘known’ (outside of antagonistic logic), that ‘third truth’ (in lower case and not dogmatic) that is the path of historical judgement. We should all converge, each in his or her own way, on the prospect of a ‘cooperative competition’ that recovers spaces for confrontation, mediation and dialogue and is nourished by adequate political visions no longer based on twentieth-century paradigms. If we want the future that is already present to be sustainable, we have – first and foremost as intellectuals and as of now – a formidable responsibility.
(riproduzione autorizzata citando la fonte)