(Marco Emanuele)
E’ il tempo di parole chiare. Può sembrare un paradosso ma, proprio nella fase del massimo clamore delle armi, il pensiero deve riprendere il suo ruolo. Decisivo.
Ci vuole coscienza della complessità. E’ troppo facile accusarsi reciprocamente, peraltro seduti in comodi salotti lontani da una guerra che rischia ogni giorno di allargarsi, sul ‘chi difende chi’. Noi siamo dalla parte dei popoli israeliano e palestinese, entrambi con il diritto alla sicurezza e a una vita degna, entrambi non meritevoli del destino all’odio, alla vendetta reciproca, alla violenza banale.
La violenza di Hamas su Israele del 7 ottobre è indefinibile. Ma perchè, per contrastare una violenza esercitata non in nome degli esseri umani palestinesi, si uccidono civili innocenti ? Non cadiamo nella trappola che vorrebbe farci credere che la violenza di Hamas sia il frutto dell’oblio riservato alla questione palestinese: anche se in geopolitica i vuoti non esistono, siamo abbastanza avveduti da sapere che ci sono classi dirigenti che tirano le fila, con ben criticabile approccio, del destino dei due popoli.
Emergono, allora, le due dimensioni del problema che, purtroppo, non sembrano incontrarsi. Siamo dentro al fallimento conclamato di concomitanti visioni lineari. La storia è complessa ma è il pensiero dell’uomo a vedere, volta per volta, la parte che conviene esaltare o deprimere, a seconda delle convenienze. E questo vale, indistintamente, per il fronte bellicista come per quello alternativo. Le piazze che si proclamano pacifiste esprimono, in molti casi, una rabbia irricevibile, una furia uguale e contraria a quella bellicista. Ci hanno impressionato le immagini della caccia all’ebreo nell’aeroporto del Dagestan.
Per chi, come noi, ha passato la vita a studiare i totalitarismi (e continua a farlo), in particolare il nazismo, siamo immersi in tempi bui. Nel tempo del massimo progresso, siamo tornati alla preistoria della condizione umana. L’attacco alla vita degli ebrei in quanto ebrei si sente nell’aria, è palpabile, non è mai morto. Altra cosa sono le critiche che si possono, e si debbono, rivolgere a chi vorrebbe interpretare il destino del popolo ebraico come fosse vocato a vivere in difesa, quasi a giustificarsi per esserci. Non è forse lo stesso destino quello riservato ai palestinesi, costretti a vivere in una striscia di terra con la più alta densità abitativa al mondo dove, in condizioni di non guerra guerreggiata, piuttosto sopravviveva ?
Solo il pensiero complesso, quello che evoca la responsabilità di un’etica condivisa e di una ‘terza verità’ non dogmatica, potrà aiutarci a cambiare via. Ad oggi, calati nella realtà, almeno noi ci sentiamo ostaggi di una condizione non più sostenibile, di una geopolitica che ‘passa sopra’, di classi dirigenti che vorrebbero eradicarsi vicendevolmente, d’incomprensioni profonde e sempre più radicalizzate. Tutto questo mentre arrivano continue immagini di morte e distruzione, messaggi di donne rapite e disperate che leggono messaggi di propaganda, mediocrità dilagante.
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