La giornata della memoria deve trasformarsi in laboratorio della stessa. Ogni giorno, infatti, vi sono segni inequivocabili dei segni totalitari che percorrono il nostro tempo.
Per questo la memoria non può essere cristallizzata. Avendo sempre a mente la “soluzione finale”, madre di tutte le tragedie, osserviamo la rinuncia, ai vari livelli di realtà, del dialogo e della mediazione come vera e unica opzione politico-strategica.
Rendere viva la memoria significa lavorare criticamente laddove l’uomo sembra lasciar andare la realtà senza intervenire a ri-comporre, a ri-congiungere ciò che è disperso. Dal profondo delle nostre società alle relazioni internazionali si alza prepotente la voce della violenza e della guerra. Non per aggiungerci alla retorica in progress ma, politicamente, è l’ora di elaborare nuovo pensiero.
Non vi è dubbio, almeno in chi scrive, che il popolo ucraino vada ancora sostenuto, anche militarmente. Ma, dopo un anno di guerra, un’azione diplomatica va intrapresa, anzitutto all’interno dell’ “Occidente”. Due punti ci sembrano decisivi e chiedono una risposta. Il primo: l’escalation della guerra riguarda ormai anche l’Iran e la regione mediorientale. Continuare così, in termini lineari, dove ci sta portando ? Il secondo: se sostenere la resistenza ucraina è giusto, il vero disegno strategico non riguarda forse un riarmo generalizzato a livello planetario ? Certo l’invasione di Mosca ha posto pesantemente il tema di una rinnovata architettura della sicurezza (europea e non solo), e gli investimenti nazionali nella difesa sono comprensibili, ma c’è altro ?
Vediamo, in ciò che accade, il persistere di una netta divisione del mondo tra buoni e cattivi e della contrapposizione tra democrazie e autocrazie. Vediamo, dentro e oltre la guerra in Ucraina, la scelta di uno scontro storico, a-politico, apparentemente incapace di entrare dentro le complessità di una pace realistica. Detto più chiaramente, non appare culturalmente la volontà di unire i fronti ma di esacerbarli in un piano inclinato che va ben oltre Kiev e Mosca: sullo sfondo non c’è solo la minaccia nucleare ma c’è Pechino. Dopo Bali, whats’ next ?