La ferita è sempre aperta. E’ la ferita, provocata dall’umano, che oltraggia e annulla l’umano. E’ la ferita della parola che uccide il Silenzio.
Ogni “soluzione finale” è la resa agli istinti bestiali, incapacità Politica di affrontare l’Altro e la Realtà. Quando l’uomo è debole, l’Altro deve morire e la Realtà deve conformarsi alla sua ragione malata, diventare prodotto di una lucidità diabolica.
Ma il macabro non ha tempo, non può essere cristallizzato. Non possiamo lavarci la coscienza, come esseri umani, dicendo “mai più” perché il problema è dentro la nostra ragione, in una banalità del male che ritorna, ciclicamente, quando cessa la Politica. Su questo occorrerebbe dialogare tra generazioni, senza temere l’inevitabile passaggio del tempo che ci priva dei Testimoni di quella “soluzione finale” che per sempre resterà davanti a noi.
Il tema del male è dentro di noi. Se ciascuno ha la responsabilità di elaborare “giudizio storico”, nessuno può ergersi a Giudice della Storia, separare il bene dal male, farsi Dio. Siamo tutti tragicamente umani, immersi in un tempo nel quale i segni totalitari emergono dalle profondità di certezze non problematizzate: la guerra è solo uno di questi.
Cerchiamo la Speranza ma essa vive nella consapevolezza di chi siamo e di chi diventiamo. Null’altro. Se la Memoria non è viva, vivace, contraddittoria, dialogante è solo merce da museo, destinata a impolverarsi. Investiamo nel Silenzio, il solo che genera la Parola Giusta: se volete, chiamatelo Politica.